In uno stato democratico il monopolio della forza è dello Stato. A giudicare dalle immagini che hanno fatto il giro del mondo – una trattativa di fatto sullo svolgimento di una partita di calcio, non mi interessa neanche ricordare quale partita fosse, tra un capo ultrà, Genny ‘a carogna, e pezzi delle istituzioni sportive e peggio ancora delle istituzioni dello Stato preposte all’ordine pubblico – in Italia non c’è monopolio della forza legittima, socialmente ammessa, quindi non c’è più democrazia; o almeno pienezza democratica. 



È inutile girarci intorno. Abbiamo assistito, e non solo noi, ad un’esibizione di impotenza dello Stato. Checché ne dicano le imbarazzate risposte del presidente Renzi sui motivi del suo restare in tribuna ad assistere alla partita (non lasciare il campo agli “altri”, ai violenti), il campo gli è stato ampiamente lasciato. I motivi per cui il campo è stato lasciato agli altri, il presidente Renzi li aveva accanto, in tribuna. E sono gli esponenti del mondo, e del mercato, del calcio che da anni tollerano, in nome del business, un ambiguo rapporto con il tifo delle curve, da tempo contiguo alla criminalità organizzata. 



Da anni si parla inutilmente di applicare le leggi con cui gli inglesi hanno sradicato il fenomeno degli hooligans; e ci sono richieste di giudici che chiedono di tener fuori dagli stadi i pregiudicati a prescindere da reati specifici legati al tifo. Non se n’è fatto nulla, e nulla si farà fin quando si continuerà a sostenere che lo sport con queste cose “non c’entra niente”, e che lo sport è la prima vittima. 

Vero in teoria. Per lo sport di de Coubertin. Non per lo sport milionario del calcio, e non solo del calcio. Si ha troppo la sensazione che nessuno, nel mondo del calcio, alla fine abbia voglia di rinunciare davvero a una fetta consistente del proprio mercato: “The business must go on”. Che il prefetto di Roma sia stato nello stato di necessità di far giocare la partita per evitare guai peggiori è del tutto plausibile, ma lo stato di necessità nasce da questo stato di cose, chiaro da tempo. 



Ma la serata dell’Olimpico ci parla, purtroppo, di un problema che va ben oltre l’ennesimo episodio d’incapacità di garantire l’ordine pubblico negli stadi. E lo ha rappresentato ieri sera, con grande e dolorosa dignità, la vedova dell’ispettore Raciti in Tv, a Piazza pulita, parlando dell’ennesima prova di debolezza dello Stato sul terreno della tutela della legalità, di uno Stato in ginocchio alla presenza dei suoi stessi rappresentanti. Perché quel che accade negli stadi è solo un tassello del collasso di legalità in essere nel nostro paese. Non è solo il mondo del calcio, sotto la maglietta, e lo scudo ideologico, della passione sportiva, del “tifo”, a registrare una zona extraterritoriale dove lo Stato non entra, da cui si tiene alla larga, e con cui magari patteggia. 

C’è l’illegalità tollerata che si annida nei campi rom, che pullula nei centri sociali, nei gruppi violenti no-tav; per non dire della destrutturazione della legalità in interi quartieri metropolitani dove lo Stato si riduce al giro di una volante a corto di benzina, e di zone industriali di cui tutti conoscono la modalità servile, se non schiavistica, dell’impiego di manodopera. 

Si è discusso talvolta del ricorso a zone franche per il rilancio di aree depresse; ma le uniche zone franche che in Italia riusciamo a far sorgere e prosperare sono le zone franche dalla legalità. Eppure tutti siamo consapevoli che questa mancanza di controllo del territorio, di tutela della legalità, è tra le ragioni più forti della diffidenza degli investitori esteri, e in genere dell’assunzione del rischio d’impresa. 

Domenica sera con quel che si è visto all’Olimpico abbiamo mandato in mondovisione uno spot contro il nostro paese. Forse è venuto il tempo della tolleranza zero, e le terapie sociali di lungo periodo non escludono, anzi richiedono la chirurgia d’urgenza.