Attualissima è la notizia di Emily Letts, 25enne americana del New Jersey, che ha voluto filmare il suo aborto per far sapere al “mondo” della sua serenità e della motivazione che l’ha spinta a questo gesto. Si sentiva inadeguata a fare la madre; non era pronta, non voleva questo ruolo.

In queste situazioni mi chiedo sempre se di tutto ciò abbia potuto parlare con qualcuno che potesse informarla per esempio su tutto ciò che di negativo lascia l’aborto procurato nella psiche di chi lo compie.



Al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli, incontrando tante donne gravide, ne incontriamo alcune che precedentemente hanno compiuto questo gesto. Il rimpianto per quel bimbo mai nato è sempre molto forte, e grande è il vuoto che si ritrovano dentro e che tentano di riempire con una nuova vita. Spesso invano.

A volte, nel tentativo di far superare questa che oramai viene definita sindrome post abortiva, proponiamo un percorso di ordine psicologico. Uno dei momenti più particolari è quello in cui l’operatore chiede di scrivere una lettera al bimbo che non ha visto la luce. Vorremmo renderne testimonianza, pubblicandone una speciale.



“Un nome, un nome che a pronunciarlo mi provoca dolcezza, paura, angoscia, vergogna, Amore.                 Chi sei tu? Chi diavolo sei per farmi stare così? Perché il mio respiro si blocca, il mio cuore si contrae, la mia pancia diventa dura, i miei occhi bruciano e la mia testa sanguina quando penso a te? Ti imploro e ti supplico, lasciami in pace, vattene. Non voglio più vedere le ferite, sentire il dolore, non voglio più pensare che tu esista. È questo il prezzo che devo pagare per aver interrotto bruscamente il tuo viaggio verso la vita? E invece iniziare il mio lento ed inesorabile verso la morte?… Da quando tu non ci sei più, solo dolore nella mia vita, da quando sei andata lontana e mi urli che invece ci sei che vuoi essere vista, ascoltata, amata persino. È in questo nulla che ci siamo perse tu ed io, è in questo buio che non riusciamo più a vederci. Ora capisco che siamo legate, due sconosciute legate dallo stesso destino. È un pezzo di viaggio che abbiamo fatto insieme e che ci ha unito per sempre, credo. Lo so, ti ho tolto tutto, il nome, la dignità, il diritto di vivere, il diritto di essere felice e di rendere felice me. Per questo muoio con te… ma lo faccio perché voglio rinascere in modo che un giorno sarò davvero pronta a riceverti. Voglio nascere per te, aspettare la tua anima dentro di me e poterti ridare l’amore che non hai avuto perché non te l’ho dato, l’amore che non ho avuto perché non me lo sono data”.



Nell’incontrare le donne il metodo di elezione resta il colloquio; esso vuole instaurare una relazione importante, che tecnicamente chiamiamo relazione di aiuto.

A che cosa serve? L’obiettivo è mettere a disposizione un tempo e uno spazio dove la donna possa raccontarsi con tutte le sue perplessità, dubbi, paure, negatività. Non c’è giudizio, c’è ascolto e informazione.

Si parla alla donna delle conseguenze? Per la nostra esperienza posso dire si no, se ne ha paura e non si vuole fare pressione psicologica. Poi?

Purtroppo il risultato di questi silenzi è una solitudine oscura, pesante, che toglie a volte la voglia di vivere.