Ok, ci vuol del fegato per invitare Flavio Briatore a parlare in Bocconi. Un po’come invitare Fabio Volo al Salone del Libro, Salvini al Festival della taranta, Berlusconi a passare il tempo con gli anziani di Cesano Boscone, un teologo che non crede alla Resurrezione al Festival delle religioni fiorentino, Costanza Miriano alla Luiss, un papa alla Sapienza. Ad alcuni è concesso, ad altri no. Io penso che le provocazioni servano, che le contaminazioni servano, che ci si debba sempre aprire all’inaspettato, al possibile, soprattutto all’ascolto di chi sembra diverso da noi, per idee e formazione.
Dov’è lo scandalo se un imprenditore di successo entra nel tempio dell’economia italiana, nella fucina di nuovi manager, crisi permettendo? Che inguaribile moralismo coglie un’opinione pubblica che nega ogni morale, perché nega ogni verità. Aspetto i commenti scandalizzati e saccenti domani, mi bastano quelli postati a raffica sui social. Che noiosa e schizzinosa presunzione in chi si ostina a credersi migliore perché indossa il loden e non i giubbottini di jeans a 60 anni suonati. In chi si nega con sufficienza ai media commerciali, ma si concede facilmente ai padroni del mondo. Insegniamo ai rampolli della factory più quotata del paese a sentirsi investiti di un compito arduo, essere il traino, il motore dell’Italia, a muoversi all’insegna di parole come interesse, profitto, a preferire la competizione, il carrierismo, il potere. A livellare i loro desideri, o a cassarli, a seconda della convenienza.
E allora, Briatore è un modello perfetto. In più, ha il fascino del self made man, non ha padri che gli hanno aperto uno studio o che l’hanno piazzato per successione dinastica. E’ un rozzo lavoratore di Cuneo, da ragazzo lo chiamavano el tribùla, perché ne azzeccava poche e faticava tanto. Ha capito in fretta come avanzare rapidamente, e ben prima di arrivare alle macchine da corsa. Strafottenza, pelo sullo stomaco, amicizie giuste, e anche quelle meno giuste che però servono, e un contorno di donne, yacht, discoteche e champagne che il successo lo fanno vedere, mica lo nascondono nei salotti chic o nelle riunioni riservate agli iscritti con tessera.
Ha mantenuto l’odore della terra e l’inflessione dialettale dei suoi avi contadini che facilita il compito all’imitazione di Crozza. Il suo ego straripante, le sue mises, i suoi dannatissimi soldi attirano schiaffoni e non ne fanno certo un bell’esempio di magister universitario, ma almeno ha il pregio della sincerità, e una sanguigna passione per la vita. Mica poco, considerando gli esangui professori, e l’esangue prova di sé che hanno dato ogni qual volta sono stati messi alla prova.
Abbiamo visto nelle aule magne cantautori e comici da cassetta, ex terroristi, e ci si stupisce se dove ti insegnano a far soldi arriva uno che ne ha fatti tanti, e ti dà i suoi consigli? Perché, ditemi uno che nella vita sogna di essere povero – spiega. Per poi incalzare svelando il re nudo: quando uscite da qui, ragazzi miei, la realtà è un’altra cosa. Le opportunità di cui vi parlano non ci sono mica. Dovete inventarvele. Non disprezzate il lavoro manuale, il lavoro umile, partite da lì, e poi se va bene andate avanti. Lasciate perdere i facili guadagni promessi dalle decantate start up, tutta fuffa. Aprite un’azienda di pronto intervento idraulico, elettrotecnico, puntate sull’artigianato. Aprite una pizzeria, almeno avrete il cibo per consolarvi se va male, e potete invitarci gli amici.
Chiaro che provoca, è andato lì apposta. Ma è sano che a tanti figli di papà, troppo sicuri di sé e di essere la crème dell’Italia, a tanti giovani coscienziosi che faticano sui libri con troppa disillusione, ha ricordato che la società li priva dei sogni. Che ai giovani no ci pensa nessuno, e allora tocca riprenderseli, i sogni, senza puzza sotto il naso e con determinazione e sacrificio.
Suggerimenti un po’ all’antica, conditi di qualche semplificazione e qualche parolaccia di troppo. Ma solo a pensare alla faccia dei manager invitati a contorno, al loro livore nel sentire gli applausi e le risate dei ragazzi presenti, sai che soddisfazione, una tantum.