Una sentenza della Corte costituzionale dell’aprile scorso ha stabilito che il divieto di fecondazione eterologa contenuto nella legge 40 del 2004 è incostituzionale. La Consulta deve ancora pubblicare le motivazioni della sentenza, ed è da queste ultime che dipenderà la reale applicazione dell’eterologa in Italia. Il principale interrogativo è se il Parlamento sarà chiamato a modificare la legge in vigore per colmare le lacune normative, o se qualsiasi ulteriore intervento in materia sarà ritenuto a sua volta incostituzionale. La Consulta lascia in piedi di fatto una legge monca e traballante, incapace di stare in piedi da sola. Se ne discuterà martedì prossimo nella Sala della Regina di Palazzo Montecitorio, nel corso del convegno “Quale diritto per i figli dell’eterologa?”. Ne abbiamo parlato con Stefania Stefanelli, docente di Diritto di famiglia nell’Università di Perugia e uno dei relatori del convegno.
Lei ritiene che dopo la sentenza della Corte costituzionale, sia necessaria una nuova legge o quantomeno delle modifiche a quella esistente?
Innestare questo principio di ammissibilità della fecondazione eterologa sul nostro sistema civilistico non può essere realizzato senza un intervento del legislatore. Il nostro codice, anche dopo la recente riforma, mantiene in capo al figlio la possibilità di provare che lo stato costituito non è veridico, consentendogli di impugnare il riconoscimento in qualsiasi momento. Eppure altre parti del nostro diritto vanno in una direzione contraddittoria.
A quale legge si riferisce?
L’articolo 9 della legge 40 vieta al partner della donna inseminata con seme altrui di disconoscere il figlio. Però non vieta al figlio di accertare in futuro la verità biologica. Del resto non potrebbe farlo, perché tratterebbe in modo differente i due figli, uno nato da procreazione naturale e l’altro da eterologa. Quando l’ovulo di una donatrice è impiantato nell’utero, se la donatrice è coniugata, colui che viene generato non può in futuro agire con l’azione di disconoscimento. Per il Codice civile, il presupposto è che la madre è sempre certa e che la procreazione materna coincide con il parto, e quindi non prevede il disconoscimento della maternità bensì solo quello della paternità.
Il diritto europeo che cosa prevede per quanto riguarda i figli della fecondazione assistita?
Secondo quanto riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma anche dalla Corte costituzionale nella sentenza 278 del 2013, i figli nati da fecondazione assistita hanno il diritto fondamentale di conoscere le loro origini genetiche e biologiche, almeno per tutelare la loro salute. Se il medico chiede al paziente se qualcuno nella sua famiglia ha mai sofferto di diabete, in Italia chi è nato da fecondazione assistita non può rispondere perché non conosce chi è geneticamente il genitore. A ciò si aggiunge una questione di tutela dell’identità personale. Negli Stati Uniti esiste un movimento di figli dell’eterologa che vanno alla ricerca del genitore che li ha messi al mondo, e c’è stata persino una serie tv dedicata a questo argomento. Se in Italia mantieniamo, come prevede la legge, l’anonimato del donatore, da un lato escludiamo nei confronti del donatore un’azione parentale, ma d’altra parte non tuteliamo nemmeno la salute.
Insomma c’è la necessità di contemperare diritti diversi tra loro?
Esattamente. Da un lato c’è la salute dei genitori e la tutela di questo interesse alla procreazione. Dall’altra però ci deve essere anche la saluta dei figli, che passa anche attraverso la conoscenza dei propri ascendenti genetici da parte di un figlio che ha nel suo Dna una parte di patrimonio genetico proveniente da un donatore, che secondo la norma italiana deve semplicemente rimanere sconosciuto. Manca però un protocollo in base a cui sono indicate le patologie familiari più diffuse, è analizzato il suo Dna, i suoi ascendenti e le possibili malattie trasmissibili. Secondo alcuni va posto un limite al numero di fecondazioni realizzate con il seme di un singolo donatore, perché altrimenti si può generare il rischio di incontri incestuosi tra due che sono figli dello stesso donatore pur senza saperlo. I problemi cui il legislatore deve dare una risposta è così ampio che è necessariamente rimesso alla discrezionalità del parlamento il fatto di scegliere in un modo piuttosto che in un altro.
(Pietro Vernizzi)