L’uomo di Motta Visconti. L’orco di Motta Visconti. Come l’uomo di Brembate, di Garlasco… Siamo davvero così? Il brivido che corre nei commenti sgomenti, nell’ascolto attonito dell’immane tragedia. L’uomo è capace di tanto? Auschwitz ci conferma di sì. Eppure l’uomo solo sconcerta ancora di più, l’essere che non può neppure trincerarsi vergognosamente dietro agli “ordini da eseguire”.
Un padre. I suoi bambini piccoli, che dormivano, come dormivano i fratelli di Pollicino, e le disgraziate figliolette dell’orco, sgozzate nel buio della notte. Sua moglie, con cui aveva appena fatto all’amore, sdraiata sul divano mollemente, sicura, appagata dal suo focolare di tenerezza. Troppo facile chiamare in causa la follia.
Quell’uomo era lucidissimo, e la malattia mentale può essere improvvisa e cosciente, astuta. Ma quei gesti dopo i delitti, la doccia, la cassaforte aperta per simulare un furto, la partita a casa di amici, rivestito di tutto punto, come se niente fosse. Avrà avuto in testa un’altra donna. Avrà bruciato per il suo rifiuto. Devono spiegarcelo bene, gli psichiatri, cosa può scatenarsi nella mente umana, se davvero può disconnettersi qualcosa nel cervello, e lasciare che il dominio dei tuoi pensieri e gesti sia di una bestia, o se semplicemente attribuiamo alla pazzia quel che non sappiamo comprendere e definire e diagnosticare.
Penso a tutti gli aggettivi che finora avrei voluto usare, e che metto tutti in fila adesso: luciferino, demoniaco, diabolico, satanico. Appunto. Dovremo avere il coraggio di dire che un gesto così, in quei modi, può solo essere opera del male assoluto, che sceglie le sue vittime, le custodisce, le alleva, e infine le usa per togliere ogni speranza, ogni certezza, ogni sorriso. Non è affatto una riposta semplicistica, perché il demonio non si sradica dal mondo, né si combatte con psicofarmaci o terapie psicanalitiche, né con il carcere a vita. Ci rendiamo conto però che non bastano le spiegazioni imbarazzate degli inquirenti più scaltri ed esperti, né le analisi dei sociologi di turno, che per giorni cercheranno di dare ragioni quando non c’è ragione.
La famiglia, la si esalta tanto, però… Nasconde orrori e menzogne, e forse liberarsi da vincoli solo di tradizione non sarebbe poi male. Come se con l’amante la ferocia non si sarebbe prima o poi rivelata. La società, le sue crisi, che provano e sfiniscono il carattere: l’assassino aveva un buon lavoro, era benestante. Prove dure subite, un vissuto segreto, riemerso come da un gorgo per sfogarsi, imprevisto. E’ pieno il mondo di sofferenti giusti, di miserabili buoni, di sfruttati e di abbandonati che sanno amare, lottare, credere, sanno perfino essere generosi.
La televisione, dare la colpa ai media fa sempre colpo: ma anche se non ne possiamo più di sanguinolente Gomorre e vampiri e angosciose apocalissi hollywoodiane, non basta un film o un talk ancora più cupo a creare emuli. Si ricorderanno i tòpoi letterari, i miti antichi. Ma erano storie così impossibili a dirsi che proprio per questo svolgevano una funzione catartica, inducendo lettori e spettatori a piangere, pensare, fuggire orripilati il male.
Siamo altrettanto capaci di non distrarci domani mattina e tener viva la domanda bruciante, dopo il tiggì di stasera? Dopo aver scartato le soluzioni più facili e consolatorie, sappiamo guardare in faccia la realtà e chi la intride di male, per addestrarci a combatterlo? Sia lieve la terra ai poveri corpi di quella famiglia che si credeva serena. Sia grande l’abbraccio del cielo per quelle anime sante. Non si spenga in quel carcere dove sarà recluso per sempre quel padre assassino, e dentro di noi, il grido della sua donna: perché mi fai questo? Giuda, perché?