Nota bene: Massimo Giuseppe Bossetti, seppur ufficialmente accusato della morte di Yara Gambirasio, per il quale la Procura di Bergamo ha dichiarato che “il caso è chiuso”, gode ovviamente ancora della presunzione di innocenza fino a quando il processo non si sarà concluso. Quelle che seguono in questo articolo sono ricostruzioni basate sulla storia di questo crimine da parte di chi lo ha seguito, giornalisticamente, dal momento che accadde, quattro anni fa. Non è una sentenza, ma una ricostruzione  e una riflessione di quanto questa storia ha suscitato co il suo drammatico svolgimento.



Un uomo quasi di mezza età, sposato, con figli, onesto e duro lavoratore. Fa l’autista di bus per le strade un po’ sconnesse del provincia bergamasca, la provincia dura fatta di gente altrettanto dura. Lavoratori che non mostrano mai i segni della fatica, che prima di tornare a casa la sera si fanno un bicchiere con amici e colleghi. La casa c’è sempre, la famiglia pure. Terra di antiche tradizioni e valori, quella bergamasca. 



L’uomo di mezza età, autista di bus, un giorno tra una fermata e l’altra, tra una sosta di riposo e la guida conosce una donna più giovane. Se ne innamora? Può essere, che nella vita non basta dirsi sposati per non sentire, certe volte, il cuore ricominciare a battere come quando si era ragazzini, che niente basta a contentare questo cuore che sembra sempre urlare un desiderio più grande, incontenibile . Oppure il suo è solo un impulso: lei più giovane, bella, lui annoiato dal tran tran quotidiano lavoro e famiglia. Continuano a vedersi, hanno dei rapporti, lei rimane incinta. 



Lui avrebbe voluto che lei abortisse, per non incasinare il suo matrimonio? Lei ha tenuto duro, come una donna di quelle terre di tradizioni e valori e ha voluto lo stesso portare a termine la gravidanza? Non lo sa nessuno in realtà, sta di fatto che nasce non un figlio solo, ma addirittura due gemelli, un maschio e una femmina.

Cosa sia accaduto dopo anche questo nessuno lo sa. L’autista di bus si è tenuto in disparte, magari versando delle somme alla ex amante perché crescesse i figli, o è sparito per sempre? Magari tra una sosta e l’altra del suo lavoro si fermava dietro un cespuglio a guardarli crescere.

I due gemelli diventano adulti. Lui si sposa, è un bel ragazzo, atletico e dal viso aperto, come quelli della sua terra. Ha dei figli, ma dentro c’è qualcosa che lo tormenta.  Un buco, un vuoto. Mio padre chi era? Perché ci ha abbandonati? 

Un buco nel cuore, si sa, bisogna riempirlo in qualche modo, se no ci tormenta in modo insopportabile. 

Per quel figlio sarà un gesto tragico, un raptus di passione immorale e cattiva. Prendere una ragazzina di poco più grande dei suoi figli, rapirla fuori della palestra che anche lui frequentava, portarla in un brutto e sporco campo e violentarla, seviziarla con crudeltà. Poi andarsene e lasciarla morire, agonizzare per ore nel freddo e nel buio. Una morte orribile. 

Cosa ha voluto uccidere quel giorno maledetto? Una bambina stuprata che non lo denunciasse, o quel buco che lo tormentava? Quell’odio per la razza umana che si porta dietro perché suo padre non lo ha mai conosciuto? Quale violenza ancestrale e implacabile lo ha assalito? L’odio per il prossimo, e per se stesso, probabilmente.

 

Quell’autista di bus è morto molti anni prima che tutto questo succedesse. Ma dalla sua tomba in un modo incredibile e misterioso ha portato alla scoperta dell’assassino della ragazza, suo figlio. Ha parlato il suo dna, trovato sugli slip della ragazzina. E’ come se avesse voluto, dal freddo marmo della morte, svelare ogni verità: la sua, di marito che ha tradito, che ha tradito due volte, la moglie e l’amante, che ha tradito tre volte, anche i due gemelli venuti alla luce dopo una mezz’ora di sesso in fretta e furia.

Ma dalla tomba ha parlato forse per chiedere, dall’al di là, perdono per tutto quello che lui dalla tomba sapeva sarebbe successo. Due figli, due gemelli. Lui, Giuseppe come l’uomo che lo abbandonò; lei Laura, come la moglie di quell’uomo che tradì. Due nomi che pesanoc come macigni. Caino e Abele. Uno che ha ucciso, l’altra che è rimasta chiusa nel suo silenzio. Due strade e due scelte, che nella vita decidi tu ogni giorno che strada prendere.

 

La vita non perdona invece. Quello che nella vita si fa,  di storto e di malsano, di ingiusto e di impulsivo, torna sempre a chiedere il suo conto. La vita ha delle regole, fatte di giustizia e compassione, di pietà e di rispetto di una natura che ci vuole uomini e donne in modi misteriosi, ma per il nostro e altrui bene. Sgarri una volta, disubbidisci a queste regole, e le conseguenze ci saranno, non se ne scampa. Magari non a te, ma una volta che l’errore, il male che appare sempre banale all’inizio, è scatenato, nessuno sa cosa succederà. Conseguenze cattive e insospettabili, fino alla morte in un campo brutto e sporco di una ragazzina innocente. Ma alla vita non si sfugge. Perché la vita è più grande di noi. Yara è la vittima sacrificale, una piccola santa come le tante che ci hanno tramandato la nostra storia e le nostre tradizioni, vittima inconsapevole di un urlo disperato che sale dal cuore dell’uomo. Il suo sacrifico potrà non essere stato vano.

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