Io e i miei amici preti cerchiamo di non dirlo troppo, ma questo Papa ci mette a disagio. Non accade a tutti, ovviamente: i preti felici per questo Papa ci sono e sono molti. Ma non pochi hanno dentro un certo fastidio. Giovedì scorso alla processione del Corpus Domini di Roma, Francesco è apparso affannato e alcuni preti respiravano meglio. Mi fa male vederlo, mi fa male dirlo, mi fa male scriverlo, ma gli occhi di alcuni dicevano: anche questo Papa passerà e tutto tornerà come prima. Meno male. Sospiro di sollievo. 



Se il Papa è stanco e affaticato, invece di porgergli una sedia nel mio cuore, perché gli indico l’uscita e aspetto che l’imbocchi? Perché io che dovrei essere pastore come lui sono a disagio e invece la gente, quella sudata, quella in fila, quella stanca, quella normale, quella dei rosari ma anche no, quella sposata in chiesa ma anche no, quella con i sacramenti a posto ma anche no, quella gente lì, la sedia per il Papa, nel proprio cuore ce l’ha già bella e pronta? Cos’ha il Papa che fa dire alla gente questo Papa? 



Se guardo bene negli occhi il fastidio che il Papa genera in me prete vedo che ci vuole un po’ di coraggio per trovare il motivo. Perché non è nelle cose che dice. Spettacolari, per carità, ma, suvvia, il vangelo più o meno è sempre quello: pure gli altri papi lo raccontavano per benino. Neanche è solo per quello che fa: Giovanni Paolo II di cose di impatto ne ha fatte una montagna, Paolo VI è stato il primo ad andare a Calcutta. Allora, direte, se non è per i contenuti, sarà per il modo: ma io direi “sì e no”, in realtà “più no che sì”. Ogni Papa ha il proprio modo di essere e in fin dei conti le persone cercano l’identità, e quando uno è sé stesso va bene anche se è tedesco, non solo se è argentino. 



Il punto è un altro, ed è che fino a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (e figuratevi prima) ero io, prete, a dire alla gente cos’aveva detto il Papa: adesso è la gente che dice a me: “il Papa ha detto”. Io sono parroco e scopro che i miei parrocchiani lo sentono più parroco di me. Quando dicono “il mio parroco” ho paura che pensino a Papa Francesco invece che a don Mauro: questo è il problema. Al massimo, ben che vada, siamo stati tutti “promossi” viceparroci. Non so come ci riesca, ma Papa Francesco è più vicino alla mia gente di quanto lo sia io. Ieri è andato a Cassano all’Ionio a trovare gli assassini e i parenti di Cocò Campolongo, il bambino di tre anni bruciato vivo in macchina dalla ‘ndrangheta e per il quale fece pregare il mondo intero il 26 gennaio scorso. 

È una cosa meravigliosa ma, per esempio, pure Giovanni Paolo II è andato in carcere a trovare il suo assassino Ali Agca. Ma questa volta, ci scommetto, succederà che qualcuno della mia parrocchia mi chiederà come mai, dal momento che Papa Francesco è andato fino in Calabria, perché io neppure vado a trovare la signora Pina che abita nella casa popolare, e si è fatta tutto l’inverno senza riscaldamento grazie al comune che non ha riparato la caldaia. 

Sempre in Calabria, nella messa del pomeriggio di ieri ha detto che “la ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune”, “i mafiosi, non sono in comunione con Dio, sono scomunicati” e la mia gente non farà il paragone con Giovanni Paolo II ad Agrigento, ma chiederà a me perché io nelle mie prediche sono così politically correct. Sempre ieri, la mattina, ai preti come me aveva detto che non dobbiamo mettere “al centro noi stessi, e così al posto di essere canali diventare schermi” e sono sicuro che appena mi siederò in confessionale e ascolterò con superficialità, qualcuno questa frase me la ripeterà di sicuro. 

Avete idea di quanti esempi potrei fare? “Il Papa ha detto che le chiese devono essere aperte, perché la nostra a quest’ora è chiusa”? “Il Papa ha detto − ancora ieri in Calabria − che voi preti dovete vivere una vera fraternità, perché lei e il viceparroco continuate a litigare?”. Prima, a citare il Papa eravamo noi che leggiamo Avvenire e sentiamo Radio Maria, adesso lo cita, e correttamente, la gente che non legge il vangelo ma Repubblica. Un mio amico che fa delle prediche bellissime (vengono da tutta Roma a sentirlo) in una, quando stava passando i venti minuti ha detto: “lo so che il Papa dice che le prediche devono durare sette minuti, ma io lo prendo evengelicamente, e le faccio durare settanta volte sette”: insomma, l’ha dovuta buttare sul ridere. Ma capite cosa significa? che arrivato al ventesimo minuto non vedeva i volti di quelli davanti ma il fumetto delle loro teste in cui magari il vangelo non c’era ma le omelie di Santa Marta, sì. 

Questo è il punto. E allora io devo fare pace col mio disagio e capire che ormai le chiese sono aperte e saranno aperte sempre. E non passerà. Le parrocchie si sono aperte e non si potrà rimettere il vecchio orario perché ora le persone hanno sentito la carezza del Papa. Quello che in ogni Papa hanno sempre amato adesso lo trovano in una carezza, in un pollice alzato. E lo vogliono anche da me. E non passerà.

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