È stato rimosso a tempo di record il prefetto di Perugia Antonio Reppucci a causa delle affermazioni da lui fatte all’interno di una conferenza stampa; impazzano ovunque sulla rete, ma la frase incriminata è stata trasmessa anche dalle radio e dalle televisioni. Frase grave al punto da far sobbalzare sulla sedia chiunque. Intervenuto immediatamente il ministro Alfano, che lo ha appunto destituito, ringraziato dal premier Renzi via tweet: “Le frasi del Prefetto di Perugia sono inaccettabili, specie per un servitore dello Stato. Sono grato al Ministro Alfano per l’intervento”.
Vale la pena dunque farci un pensierino, magari guardando e ascoltando qualche minuto dell’intervento del prefetto, tanto per capire il contesto in cui pronuncia quelle parole terribili: “il cancro è lì, nelle famiglie, perché se una mamma non si accorge che il figlio si droga, per me è una fallita, ha fallito e si deve solo suicidare”.
Lui pontifica dal suo divano, si agita un po’, ci mette del suo, inframmezza le sue frasi con delle cadenze e espressioni del dialetto napoletano; aggiunge anche un altro carico, ne ha pure per i padri, “spererei che qualche umbro tagli la testa al figlio, mio padre mi avrebbe tagliato la testa”. Perché la polizia, spiega, non può fare da badante, “è venuta a mancare la potestà genitoriale”.
In effetti sta parlando del mondo della droga, dell’alcool, di quei ragazzi sfatti e ciondolanti con una bottiglia in mano che i suoi poliziotti fermano dopo la mezzanotte per le strade; di quelli che si sfrangono in auto il sabato sera, di quelli che spacciano, già rovinati e tirano giù nel gorgo gli amici ancora sani: è un uomo che pare sinceramente angustiato.
Tuttavia ha almeno due pesantissimi torti.
Il primo e sicuramente il più grave, è il modo in cui tortura la lingua italiana (dovrebbe subire lo stesso trattamento per la legge del taglione): se si fosse espresso correttamente, se si fosse solo impegnato un pochino, avrebbe evitato le espressioni colorite che lo condannano… orsù, ammettiamolo.
Il secondo, purtroppo il più reale, è la stupidità di quello che dice. Lascia a bocca aperta (stupiti noi che lo ascoltiamo) la banalità, la superficialità, l’infarcimento di luoghi comuni, l’evidente confusione di una mentalità troppo diffusa.
Questo a discapito della gravità della situazione in cui i nostri ragazzi si trovano a vivere. Lui ragiona come Ponzio Pilato, scaricando la colpa sulla famiglia; e, sì, anche la famiglia ha la sua colpa. Alzi la mano la madre che non si è sentita fallita quando ha beccato suo figlio con uno spinello, o ubriaco o altro…, il padre che non ha avuto voglia di prendere a ceffoni quella faccia di tolla, quella figlia tanto svestita… le sue parole sono pugnalate. Ma ci sono anche i genitori che ragionano “è solo un po’ di erba” oppure “è giovane, si diverta, basta che prenda le giuste precauzioni”; e non si sentono affatto dei falliti, anzi.
Il prefetto è rammaricato, rimpiange i tempi della potestà genitoriale; ma non sono stati solo i genitori a abdicare, bensì tutto il sistema educativo. I nostri ragazzi, sono innanzi tutto ebbri di libertà, drogati di relativismo, sfasciati dal permissivismo. E spesso i genitori sono da soli, a cercare di recuperare un po’ di autorevolezza, ogni giorno rapinata dal web, dalle mode, da quel sistema di non-valore per cui ciò che vale è solo quello che vuoi, e tu puoi volere tutto, hai diritto di essere tutto ciò che vuoi, i conti non li paghi che poi. La vita è gratis.
Banalità, falsità. I nodi vengono al pettine, le scelte che un uomo fa costano care. Il conto tutto intero è un salasso: ci sono sempre in giro gli orchi che mangiano le bimbe, i maghi che rendono ranocchi deformi i principi e sono solo i cartoni animati che escono sani e salvi dagli schianti. Noi, i media principalmente, ma non solo, raccontiamo un sacco di fandonie ai nostri figli: non è nascondendo loro il male, la fatica del vivere che li rendiamo immuni. Ci piacerebbe, ma non è così. Costringiamo i ragazzi a vivere nella menzogna, fasciamo loro gli occhi e con gli occhi fasciati vanno a sbattere, più duramente. Sono circondati da un vuoto pneumatico: se evitiamo loro il dolore, non possono capire quando essere felici. Perché essere felici.
I nostri figli sono soddisfatti e sani. Ma non felici. E allora il rischio è che si facciano male da soli. Tanto.
Ma la soluzione è forse farli soffrire? Magari con due ceffoni?
Spiacente, troppo tardi. Tempo scaduto.
Anche perché sappiamo benissimo che la sofferenza prima o poi ti becca nel profondo, quando meno te lo aspetti, e che gli schiaffi te li danno metaforicamente proprio i tempi che corrono, le circostanze: la mancanza di prospettive e la disoccupazione sono solo un paio delle sberle che i giovani si sentono appioppare; senza nessuna colpa del resto, questa la parte peggiore.
Recuperiamo allora la nostra felicità: sembra facile…
La speranza: la devono vedere in noi.
Facciamo loro vedere la verità: è più bello dare che ricevere? Quante volte ci siamo stupiti della generosità di cui sono capaci i nostri ragazzi; ricordiamo i volti infangati e con le vanghe in mano durante le alluvioni? I nostri ragazzi, che darebbero la vita per gli amici, e volte lo fanno, ma nel modo sbagliato.
Loro ci vedono fallire; è inevitabile. Tocca a noi risollevarci, magari chiedendo loro aiuto.
Il fallimento non è la fine, ma un’occasione di inizio.
I nostri ragazzi sono tutti occasioni, dal primo all’ultimo, dal drogato al giovane poliziotto. Ma soprattutto i nostri ragazzi non sono nostri. Sono loro.