Fragile fiore la giovinezza. Piegato dal vento, rapinato da insetti voraci. Gioiello delicato la libertà: il suo metallo si piega con facilità, si può farne un capolavoro, o spezzarlo. Sheila, chiamiamola così, ha quattordici anni, fino a ieri viveva nella banlieue parigina con la sua famiglia. Una famiglia normale, perbene, unita, vien detto. Non è fuggita per amore, può capitare che l’illusione di un sogno chiuda gli occhi della ragione e del cuore. Non è fuggita per litigi in casa. Può capitare, che il mondo troppo grande inebri un’adolescente, convinta di poterlo attraversare, conoscere, afferrare da sola. No, Sheila è fuggita per un’idea: lei usa la parola fede, nel biglietto che ha lasciato sotto il materasso, avvisando i genitori di leggerlo, per trovare le motivazioni dell’abbandono. E’ scappata verso la Siria, dove può vivere liberamente la sua fede, spiega. E’ islamica, Sheila, come la sua famiglia: la moschea, i precetti, ma vivono in Francia, hanno saputo conciliare il loro credo con i diritti, lontani dal fanatismo, da una assetto perenne di guerra contro il mondo infedele. Un islam moderato, se mai esiste, è stato la loro scelta.
Sheila si sentiva contaminata, impura, prigioniera e pensava che in quel paese lontano, la Sira, avrebbe trovato compagni di fede pura, obbediente, capace di lottare e morire in nome della Jihad. Non sappiamo se raggiungerà la terra promessa, se non sarà prima fermata per strada dai tanti malvagi pronti a ghermire la sua sconsiderata voglia di essere protagonista. E quando arriverà in Siria, un paese disperato, tra bombe e dolore, quale ruolo potrà mai avere nella santa lotta in nome di Allah, che se ne faranno dei suoi 14 anni offuscati da un burka.
Sarebbe un errore derubricare il suo gesto con l’insensato colpo di testa di una ragazzina instabile. Questa storia ci dice di più. Tralasciamo i luoghi comuni di sociologia spicciola, figli dei nostri complessi di inferiorità, sulla mancata integrazione delle periferie del nostro occidente che si sente superiore e non sa accogliere, capire. Lasciamo stare i consueti attacchi alle responsabilità familiari. E’ un vizio o una studiata volontà denigratoria che fa della famiglia una sentina di mali turpi.
Ricordo gli anni di piombo: quante famiglie irreprensibili hanno visto i loro figli e figlie imbracciare armi e sputare veleno, diventare assassini. Li hanno pianti, senza comprendere il perché. Ricercando in astruse disamine dei loro caratteri, dei loro errori i motivi di quei suicidi esistenziali. Non ci sono perché, se non uno, che la libertà drammaticamente può optare per il male, perseguirlo, diventarne schiava. Anche una ragazzina di 14 anni? Anche lei, poiché è in grado di scegliere e spiegare.
E ci sono i presunti amici, o le frequentazioni volute o subite: capaci di prospettare gloria e onore, di esaltare quella bellissima e pericolosa propensione dei giovani a dare tutto, in cambio di un po’ di fiducia. I ragazzi che si danno al crimine, sapendo che è crimine, alla droga, sapendo che è droga. Qualcuno li avrà ben sedotti e usati, facendo leva sulla loro debolezza. Qualcuno deve pagare, e comunque pagherà in eterno per questo peccato imperdonabile.
Sheila si è drogata di fede: che fede non è, perché nessun Dio creatore può chiedere la morte dei suoi figli, per dare la morte ad altri figli. Nessun Dio può volere che una donna da lui plasmata mortifichi la sua coscienza, per servire la morte. Che una bambina immoli la sua infanzia a un idolo feroce e vendicativo. Chissà se Sheila, sola e spaventata, avrà il coraggio di tornare sui suoi passi, e abbracciare i suoi genitori. Se così non sarà, che quel padre e quella madre sfiancati dalla pena non si tormentino l’anima e non siano tormentati; che trovino in un Dio buono, in affetti sinceri la forza di pregare per la loro ragazza. Prima o poi sarà dato loro di rivederla, e tutto perdonare, capire, amare.