Mi rincuora che Anna Maria Franzoni sia uscita dal carcere, che la sua pena sia stata commutata in detenzione domiciliare. E non perché la ritenga innocente: anzi, nonostante una serie di trascuratezze gravi, di ambiguità, e l’inquietante mancanza di prove certe, penso che sia stata lei ad uccidere il piccolo Samuele. Non poteva che essere lei, e il realismo impone le sentenze, se non vogliamo arrampicarci sui vetri.
Sappiamo poi che il suo gesto, purtroppo, non è isolato. Da quel terribile giorno a Cogne, che ha angosciato e stretto al cuore milioni di persone, commosse e turbate, troppe volte abbiamo assistito attoniti al ripetersi di infanticidi impensabili, dettati da raptus incontenibili di follia e disperazione. Cogne ha definitivamente lacerato l’innocenza, ha sollevato il velo di assurdità e dolore di tante famiglie: la cronaca, la storia raccontata nella letteratura, nel mito, ci han detto di madri e padri assassini, e con ferocia. Mai come il dramma di Cogne, posto sotto gli occhi di tutti con un ossessivo martellamento mediatico, ci ha fatto vedere crudamente il vero. Occultare non seve, non si può più: le nostre famiglie sfasciate, i nostri fragili nervi, aggrediti dall’insensatezza e dalla solitudine, non reggono più neppure all’ipocrisia, ai formalismi. E non perché sia sbagliato far famiglia, o sia uno sbaglio l’umanità. Perché all’uomo per stare in piedi non bastano una villetta in provincia, e nemmeno l’attaccamento morboso a dei figli che vuoi tutti per te, belli e sani e perfetti, come un risarcimento alla tua esistenza desolata.
Mi rincuora che Anna Maria Franzoni torni a casa, e pazienza se chi si ritiene puro e sapiente grida all’impunità, allo scandalo. C’è chi vorrebbe sempre e solo gettare la chiave, cercando la morte del colpevole, e del peccatore. Mi rincuora la decisione controcorrente del tribunale di sorveglianza di Bologna, significa che la nostra giustizia, così urlata e strapazzata tra opposte ideologie, fa baluginare ancora barlumi di saggezza, segue i dettami nobili e antichi che per primi tra popoli civili decretarono la fine della tortura, la rieducazione come fine di ogni pena. Anna Maria Franzoni non ricorderà mai, continuerà a proclamarsi innocente. Forse solo il suo psichiatra, o il suo confessore avranno colto un’esitazione rivelatrice, nei suoi modi, nelle sue parole, ma è probabile che lei si senta ferita, ingiustamente, e più volte.
La morte del suo bambino, l’accusa più infame di averlo ucciso, la lontananza dagli altri suoi figli, l’onta sul suo essere madre. Nessuno, anche se la psicanalisi ci ha fornito supposizioni plausibili, è riuscito a spiegare davvero il perché, dei suoi silenzi, e delle sue tante dichiarazioni, la sua smemoratezza, la sua riprovevole voglia di cancellare, di riattaccarsi alla vita cercando un altro Samuele, chiedendo di ricominciare a vivere di nuovo, nella sua casa-nido, rifugio.
Non sappiamo cosa sia scattato nella sua mente, per resettare, per spingerla ad allargare i suoi occhi grandi, vuoti, in una muta domanda. I medici che l’hanno osservata, i giudici che l’hanno seguita in questi anni, ritengono che lei non finga (una finzione impossibile, per tanto tempo e con tante pressioni), che lei si sia conquistata un faticoso equilibrio, che non sia più pericolosa, per se stessa e per gli altri. Per questo può tornare a casa. Dove non l’hanno mai dimenticata, dove la aspettano, dove mostrano di aver sempre avuto fiducia in lei. Sì, ci stordisce tanta certezza in quel padre provato, anche lui, che ha dovuto sostenere pesi impossibili: a qualcuno è sembrata cosciente e turpe l’omertà, la copertura delle responsabilità perlomeno sospettate. Ricordo che il papà di Erika ha sempre atteso, per riabbracciarla, la figlia che gli aveva massacrato moglie e bambino. Ci è sembrato un padre giusto, misericordioso, umanissimo.
Auguro ad Anna Maria di scomparire, nell’oblio del mondo, e che l’oblio soffi via dalla sua mente ogni possibile ricordo, ogni squarcio sul passato. Non potrebbe vivere, se sapesse. Auguro ad Anna Maria che anche il primogenito Davide, ormai ragazzo, non ricordi, non sappia. Che il suo abbraccio alla mamma così a lungo mancata sia liberatorio, sincero, che non lasci strascichi oscuri e pericolosi nell’anima.