La Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi ha pubblicato l’Instrumentum laboris sul quale si confronterà l’Assemblea dell’episcopato cattolico convocata da papa Francesco in una duplice sessione, straordinaria e ordinaria, per l’autunno del 2014 e per quello del 2015.
Il tema della riflessione, come ormai è noto, è quello delle “sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. Nei mesi scorsi la convocazione di questa assise aveva destato un particolare clamore mediatico, inducendo molti a pensare che da essa sarebbero scaturite sorprendenti svolte intra ecclesiam sulla pastorale sacramentale nei confronti dei cosiddetti “irregolari” (come i divorziati risposati), sulle unioni di fatto (anche tra persone dello stesso sesso) e sulle indicazioni della Chiesa cattolica in materia di sessualità e di procreazione. Per avvalorare tutto questo clima di attesa, costruito ad arte dal circuito mediatico sull’onda dell'”effetto Bergoglio”, si è aperto nel mondo cattolico un forte dibattito dapprima su un questionario sulle problematiche familiari, inviato a fine 2013 dalla Segreteria del Sinodo alle diocesi e alle realtà ecclesiali di tutto il mondo col fine di ascoltare il vissuto e le posizioni delle singole comunità locali, e poi sulla relazione tenuta dal cardinale Kasper al Concistoro straordinario, voluto dal Pontefice nello scorso mese di febbraio, sempre sul tema della famiglia.
In entrambi i casi si è acceso un serrato scambio di battute che, di volta in volta, tendevano a ritrarre il Pontefice o come un “uomo pericoloso” in grado di far scivolare la Chiesa su posizioni arrendevoli alla cultura contemporanea, o come il latore di una rivoluzione copernicana che archiviasse definitivamente forme e dottrine sorpassate dai fatti e dai tempi presenti. La lettura dell’Instrumentum laboris, pertanto, avrà deluso molti in entrambi gli schieramenti: il documento si presenta come un’estensione positiva del famoso questionario, teso a fotografare la realtà emersa dalle risposte ricevute dalle diverse parti del mondo. In esso non c’è traccia di fughe in avanti o di speranze tradite: si è di fronte ad una fotografia responsabile di fatti e di situazioni che chiunque abbia a che fare con la vita quotidiana conosce benissimo e sa essere veritiere.
Si parla di unioni omosessuali, e si ribadisce la posizione del Catechismo del 1992, si parla di divorziati risposati, e ci si interroga su come intercettare il percorso affettivo di chi – ad oggi – si trova ad essere considerato “fuori” dalla prassi sacramentale della Chiesa, si parla di procreazione, e si cita Paolo VI come profeta delle posizioni sistematiche e radicate di san Giovanni Paolo II. Eppure per mesi chi ha viaggiato su siti, ascoltato incontri o partecipato a conferenze ha percepito un clima di apprensione, di ansia, quasi di malcelato fastidio per ciò che stava avvenendo dentro la Chiesa; per mesi, inoltre, gli ambienti progressisti hanno assaporato una “sonora rivincita” sulla Chiesa di Benedetto XVI e sulla dottrina tradizionale.
Invece oggi, alla prova dei fatti, non uno “iota” è stato messo in discussione, ma tutto è proposto e letto con sapienza e attenzione, affidando alla comunione cum Petro e sub Petro il verdetto finale; ma la macchina mediatica che per oltre un anno ha dipinto movimenti e decisioni inesistenti è riuscita nell’unico suo obiettivo davvero perseguibile: dividere la comunità cristiana acuendone le normali polarizzazioni interne. Certo, ridurre tutto il dibattito di questi mesi a una sorta di strategia concepita dall’esterno è inverosimile: occorre prendere coscienza che il mondo cattolico italiano arranca nella comprensione di questo pontificato e si lascia trarre in inganno da categorie e letture vecchie e inconcludenti. Nella Chiesa di Francesco, infatti, non c’è spazio per conservatori e progressisti, né per contrapporre l’avvenimento di Cristo, e la sua totale libertà, al lavoro quotidiano di chi sistematicamente prega e osserva i comandamenti.
Nella Chiesa di Francesco c’è spazio per una sola parola: evangelizzazione. È su questo tema che si gioca tutto e che si stanno ridefinendo tutti gli schieramenti. Francesco ci chiama a rileggere tutta la tradizione della Chiesa con l’unico scopo di tramandarla. Egli non ci chiede di cambiarla, ma di ricomprenderla, di farla nostra, e di trasmetterla. Il Papa argentino ha paura di una Chiesa chiusa, in ostaggio di se stessa, delle sue parole e del suo linguaggio, incapace di cogliere oggi la Presenza di Cristo che la chiama a incontrare i drammi e i dolori dell’uomo contemporaneo, nella ferma certezza che solo l’amore di Gesù cambia, solo la Sua misericordia realmente trasforma. Io voglio poter dire Cristo all’omosessuale che bussa alla mia porta, al divorziato che concepisce un figlio con un’altra donna, ai ragazzi che usano il preservativo. Per farlo, però, ho bisogno di non far finta di niente, di non passare tutta la mia giornata a dire loro che sbagliano, che non si fa così.
Tutto il documento preparatorio al Sinodo insiste su due grandi parole: accogliere con misericordia e accompagnare gradualmente le persone alla piena maturità umana e cristiana. Il Papa non ci chiede di tradire la nostra storia, ma di avere il coraggio di donarla a chiunque. Ben sapendo che dal prossimo Sinodo non usciranno rivoluzioni, ma parole vere che possano riaprire strade e speranze. Quelle strade e quelle speranze di cui tutti abbiamo bisogno. Perché il Sinodo dei Vescovi è per i peccatori, per gli irregolari, per i lontani. Cioè per me che, in ogni istante, ho bisogno che Cristo e la Sua Chiesa abbiano la forza e il coraggio di riaprirmi le loro porte. Altrimenti, ne sono certo, a forza di chiudere finestre e tirare chiavistelli, chi rimarrà fuori da tutto non saranno gli altri: sarò io e la mia terribile presunzione.