Il 5 giugno la Chiesa cattolica rende omaggio a San Franco da Assergi, nato tra il 1154 e il 1159 a Roio, un piccolo paese di montagna della provincia de L’Aquila. Il suo primo maestro spirituale fu il parroco del paese, il quale lo incoraggiò a studiare: ancora fanciullo entrò infatti nel monastero benedettino di San Giovanni Battista a Lucoli. Qui vi rimase per circa vent’anni, maturando non solo la passione per lo studio ma soprattutto la pietà e l’amore cristiano e fraterno verso il prossimo; due ideali che lo accompagneranno costantemente durante tutta la sua esistenza. San Franco maturò così il desiderio di consacrare totalmente la sua vita al Signore, rinunciando al mondo esterno, per dedicarsi completamente alla ricerca e scoperta di Dio. L’amore verso l’Onnipotente, attraverso la contemplazione della natura, gli fece ottenere dai superiori il permesso di ritirarsi in solitudine, tra i boschi di Lucoli, vivendo solo di preghiere e cibandosi dei frutti offerti dalla natura. Ma in questo posto remoto il suo desiderio di solitudine era spesso interrotto dall’arrivo dei numerosi visitatori in cerca di consigli, quindi fu costretto a ritirarsi sulle montagne nei pressi di Assergi, a circa 1170 metri di altitudine, in un luogo inospitale dove si stabilì e costruì un piccolo eremo in pietra. Ben presto fu costretto ad abbandonare anche questo rifugio, sempre a causa dei visitatori, per raggiungere la grotta di Peschioli, sulla montagna del Gran Sasso: la tradizione narra che a guidare il suo cammino fu un’orsa con i suoi tre cuccioli. Il desiderio di solitudine e di una piena vita contemplativa spinse San Franco a salire ancora più in alto, per raggiungere la vetta del monte Cefalone e trovare riparo in una grotta scavata nella montagna dove regnavano solo rocce e silenzio. Fu nell’eremo di Pizzo Cefalone, a 2533 metri di altitudine, difficile da raggiungere in estate e impossibile in inverno per la troppa neve, che San Franco trovò finalmente la sua pace e il silenzio assoluto. Tra le vette del Gran Sasso si dedicò solo alla ricerca di Dio e di se stesso, perchè solo nell’assoluto silenzio riusciva a riconoscere la vera voce del Signore, e fu proprio in questo eremo che trascorse gli ultimi anni della sua vita, vivendo solo di preghiere.
Una notte gli abitanti di Assergi furono svegliati dal suono incessante delle campane della chiesa di Santa Maria in Silice e dal canto dei galli prima del sorgere del sole: guardarono verso la montagna e con immenso stupore videro una strana luce sulla grotta del Santo, che permise loro di seguire il sentiero giusto per raggiungere l’eremo. Una volta arrivati scoprirono la sua morte. Il corpo fu portato nella chiesa di Santa Maria in Silice e sepolto nella cripta, i suoi resti ancora oggi riposano in un’urna d’oro e d’argento. San Franco fu un monaco esemplare, per lui la solitudine non era vissuta come un isolamento, ma tramite la preghiera era in totale comunicazione di spirito verso Dio, il creato e l’immenso. San Franco di Assergi viene spesso raffigurato come un monaco con ai piedi un lupo che stringe tra le fauci un neonato, come a ringraziamento per un suo miracolo. Numerosi i devoti, non solo abruzzesi, che si affidano a lui per problemi di salute o per essere aiutati in un percorso di fede. Una leggenda narra che San Franco compì un primo miracolo in occasione di una visita della madre, quando per dissetarla, percuotendo la roccia col suo bastone, fece sgorgare un’acqua alla quale si attribuiscono qualità taumaturgiche.