Athena aveva tredici anni, viveva a Leicester, aveva una famiglia grandissima e amorevole, come non ne esistono più. Nove fratelli: deve aver imparato presto a fare la grande, Athena, bel nome che sa d’antico, che rimanda a una saggezza epica, ma fredda, lontana. Non così lei, ragazzina dodicenne, che si ritrova all’ingresso dell’adolescenza a passare attraverso una malattia terribile, mortale. 



Ha combattuto, e sappiamo come: il cancro osseo non lo sconfiggi con la forza di volontà, provi con la chemio, la radio, dribblando le amputazioni. Non puoi più credere alle bacchette magiche né al bacio di mamma che cancella ogni male. L’infanzia è già lontana, lo capisci che stai morendo. Ad Athena non è risparmiato nulla, le speranze cadute e il dolore più acuto e alla fine si spegne, dopo solo un anno.



Bella, lunghi capelli biondi, un viso già da giovane donna, così profondo e sincero. La conosciamo perché questa ragazzina coraggiosa ha lasciato un testamento speciale, segreto, ai suoi genitori, ai suoi fratelli e sorelle, a noi, dato che la famiglia ha ritenuto di diffonderlo, come testimonianza rara. Come tenerlo privato, un regalo così. Scritto sul retro di un grande specchio in camera sua, col pennarello. Una lettera, lunghissima, tremila caratteri, cosciente e coscienziosa, per dire a tutti il suo amore alla vita, e la sua gioia di esser viva. 

Tremila segnetti sono bastati, a lei, cresciuta coi messaggini di Whats app. Dice ai suoi cari che le condizioni, anche quelle brutte, non tolgono la bellezza e la felicità: dipende da noi, dal nostro sguardo. Dice agli occhi lagrimosi e straziati di papà e mamma che non devono piangere, perché non ci si lascia, e li sentirà sempre al suo fianco. Lei, non loro che le chiudono gli occhi, per sempre. Si farà accompagnare dai suoi genitori anche in paradiso. Scrive di vivere ogni giorno come un giorno speciale, al massimo. Scrive di cercare l’amore, quello che lei ancora non ha conosciuto, che non conoscerà mai. Un amore terreno, perché è difficile pensare a un cuore più capace di amare, e di un amore più grande di quello che l’ha creata e certamente accolta, per rispondere a tutto, per dare certezza e tutte le carezze, gli abbracci mancati. 



Uno specchio: un luogo topico, per l’arte e la letteratura, un simbolo, un’immagine dell’anima che si sdoppia, si riflette, spesso narcisisticamente, senza saper più alzare lo sguardo. Strada per la follia, perché tocca essere forti e chiari, per guardarci dentro, e non restarne turbati. 

Athena davanti allo specchio non si è persa, non si è fatta risucchiare dal sibilo angoscioso del nulla. L’ha usato come un foglio di carta, come un tazebao, l’ha reso cosa, non metafora, oggetto quotidiano, non si è lasciata usare. Sapeva guardarsi dentro da sola, e trovare risposte non negli incantamenti, ma nell’affetto della sua grande famiglia, nella realtà che vedeva intorno a sé, perfino in quella maturità così precoce e improvvisa cui il male l’aveva costretta. 

Sapeva trovare il bene, e comunicarlo come un balsamo, per  addolcire il dolore della sua partenza. Non per sempre, rassicura i suoi cari. Vogliatevi bene, io sono stata amata, e questo è il mio premio.