Il clamore vero e lo sdegno, in gran parte artificiali, sollevati dalla vicenda del paesino aspromontano di Oppido Mamertina, dove durante la processione della Madonna delle Grazie la statua sarebbe stata fatta fermare, per qualche secondo, sotto la casa del vecchio boss Giuseppe Mazzagatti, condannato all’ergastolo per omicidio e associazione mafiosa, si prestano a due diverse chiavi di lettura.
C’è senza dubbio l’inattualità delle processioni, originariamente religiose, che si svolgono in molti centri della Calabria. E’ stato molto chiaro, nel merito, l’arcivescovo di Cosenza e presidente della Conferenza Episcopale Calabra, Salvatore Nunnari, secondo il quale i vescovi dovrebbero «arrivare al punto di proibire le processioni se si verifica che «i portatori assumono atteggiamenti anarchici».
«In alcuni casi si teorizza un rapporto personale con il santo che esclude quasi la Chiesa dal rito: se ciò avviene – afferma il presule – i parroci devono abbandonare le processioni, che così diventano eventi folkloristici senza nessuna valenza religiosa».
Una proposta, quella di vietare le processioni, che già qualche tempo fa aveva lanciato il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Nicola Gratteri, quando queste possono rappresentare il rischio di ingerenze mafiose.
A Reggio Calabria l’arcivescovo metropolita Giuseppe Fiorini Morosini, che solo pochi giorni fa ha ricevuto il pallio da papa Francesco, ha inviato una lettera ai sacerdoti ricordando un decreto emanato nel febbraio scorso che vieta le soste non autorizzate e le raccolte di offerte durante le processioni religiose, imponendo la cancellazione del rito nei casi in cui tali norme non fossero rispettate.
Il vescovo locale, quello della diocesi di Oppido – Palmi, Francesco Milito, si è spinto fino a definire l’episodio «un temerario gesto di blasfema devozione».
C’è in qualche modo, quindi, la presa di coscienza da parte dell’episcopato calabrese di una decisa, chiara e ferma presa di distanza dal rischio frequente di una strumentalizzazione dell’azione pastorale della Chiesa da parte di esponenti coinvolti o sospettati di essere vicini ad organizzazioni mafiose.
Nunzio Galantino, segretario generale della Cei e vescovo di Cassano Ionio, sede della recente visita di papa Francesco, ha parlato, esplicitamente, proprio di «un meccanismo di strumentalizzazione dell’emotività dei fedeli» attraverso l’inserirsi di uomini di ‘ndrangheta nell’organizzazione, sempre popolare, delle processioni.
Chi assiste a queste manifestazioni religiose, in Calabria forse più che altrove, si rende conto come le processioni da evento popolare, di devozione e di preghiera si siano ormai trasformate in eventi folkloristici caratterizzati da un certo paganesimo; i ruoli dei portatori delle statue, nonostante il divieto delle aste e degli incanti dei posti ormai introdotto in tutte le diocesi, sono spesso appannaggio di singoli o di “confraternite” composte da personaggi spesso distanti da qualsiasi attività di catechesi se non addirittura da qualsiasi pratica religiosa nel resto dell’anno.
Un antropologo “laico” come Luigi Maria Lombardi Satriani, già da tempo aveva rilevato le processioni costituiscano in Calabria una delle forme più vistose e frequenti di teatro popolare, in cui si realizzano, oltre che esigenze religiose, esigenze espressive e si caricano di una serie di significati simbolici che svolgono precise funzioni culturali.
La “bolla” mediatica del caso di Oppido Mamertina ha però molto di artificioso. Le moglie e la figlia di Giuseppe Mazzagatti, anche con alcune lettere ai giornali, hanno sottolineato come non ci sia stata nessuna sosta, precisando altresì che il vecchio boss, 82enne, è ormai ridotto ad un “vegetale” incapace di intendere e di volere. Ed il rallentamento della statua, sempre secondo i familiari di Mazzagatti, sarebbe avvenuto ad almeno cento metri di distanza dalla loro casa.
La visione del video della processione dimostra come in realtà non ci sia stato nessun “inchino”, ma solo una sosta di 11 secondi. C’è qualcosa però che non quadra: secondo il sindaco di Oppido, Domenico Giannetta, quella sosta non sarebbe avvenuta sotto la casa del boss, «ma in altri cinque punti come quello, i cui si espone la statua verso porzioni del paese dove il corteo non arriva». Versione ribadita da Don Benedetto Rustico, il parroco involontario protagonista della vicenda: «La statua viene girata per “guardare” le case e le strade da cui non passa».
Omaggio al boss o “montatura” contro la Calabria e la chiesa calabrese? Sarà l’inchiesta giudiziaria a chiarirlo, almeno si spera, con il fascicolo ormai aperto dalla procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria.
(Sabatino Savaglio)