Ci sono notizie che hanno il pregio di restituirci il senso della realtà. Le sezioni civili unite della Corte di Cassazione hanno definito che la nullità matrimoniale deliberata da un Tribunale ecclesiastico non possa ottenere la delibazione, ossia l’annullamento civile del vincolo, se la coppia richiedente è sposata da più di tre anni.
Da un lato i promotori di questa sentenza vogliono evitare che con l’annullamento del matrimonio la parte più debole della coppia perda ogni diritto a ricevere un adeguato sostegno economico, dall’altro gli ambienti dei tribunali ecclesiastici fanno notare come in parlamento giacciano numerose proposte di legge che mirano ad estendere le guarentigie della normativa sul divorzio anche ai casi di delibazione e che, quindi, tale sentenza non sarebbe altro che un’invasione della giurisprudenza nelle facoltà legittime del Legislatore.
Al di là di queste terminologie molto tecniche, e dell’essenza giuridica della questione che qui in modo profano si è provato a riassumere, questa decisione della Corte di Cassazione aiuta a mettere un po’ d’ordine nel delicato ginepraio dell’istituzione matrimoniale.
Credo, infatti, sia molto importante che la nostra giurisprudenza cominci a distinguere nettamente tra l’istituto civile del matrimonio e l’istituto religioso del Sacramento. Quando i cattolici assumono determinate posizioni nei confronti della legislazione matrimoniale è al matrimonio civile che si riferiscono, non a quello religioso. L’intento del mondo cattolico, infatti, non è quello di difendere una realtà di fede, bensì di rendere solida un’istituzione giuridica fondamentale per la nostra stessa società. Se è quindi questo l’orizzonte in cui si dovrebbero muovere le istanze di chi difende il matrimonio cosiddetto “tradizionale”, allora è significativo che si arrivi sempre di più a distinguere quell’istituto dal Sacramento.
La società pluralista, o il “meticciato di civiltà”, è un contesto propizio per recuperare questa distinzione e ritrovare il senso del matrimonio cristiano. Per lo Stato italiano, ad esempio, il matrimonio ha tra le sue caratteristiche fondamentali la convivenza e l’accordo contrattuale fra i coniugi, mentre per la Chiesa ciò che rende valido un matrimonio è il consenso, ossia la decisione libera, matura e consapevole di intrecciare con l’altro un legame pubblico foriero di responsabilità a servizio della Chiesa. Se il consenso espresso il giorno del matrimonio non possiede un adeguato grado di libertà, di maturità e di consapevolezza delle responsabilità che ne derivano è come se quel consenso non ci fosse mai stato: è nullo, e – quindi – il legame stesso tra le due persone non è mai esistito.
Tutto questo è spesso così ignorato da determinare, anche tra molti cattolici, uno smarrimento degli elementi tipici del matrimonio, come il valore dei testimoni, che appunto “testimoniano” la validità e la legittimità del consenso e non di essere “i migliori amici” degli sposi, o l’inesistenza – prima delle nozze – di una qualsiasi forma di soggettività sociale dei due nubendi, per cui la coppia può essere certamente una bella invenzione mondana per festeggiare san Valentino, ma – fino ad un minuto prima del “sì” – non esiste.
Il matrimonio, infatti, non lo celebra la coppia, ma lo celebrano due persone – due Io – che chiedono al Signore che il legame tra loro iniziato sia visitato e assunto nell’amore che Cristo nutre per la Sua Chiesa.
In un certo senso, e questo capisco che oggi sia sconvolgente, quando due persone si sposano chiedono che il loro legame partecipi al Matrimonio di un altro, così da poter generare il miracolo del “noi”, di un soggetto sognato fin dalle scuole medie ma che – senza Cristo – si rivela debole, fragile, ricattato dal limite dell’altro, quindi incapace di essere e di esistere davvero. Alle coppie che sposo, per questo, mi premuro sempre di dire che loro credono di “scegliere il matrimonio”, ma che in realtà – se davvero sono onesti con loro stessi – si devono rendere conto che loro “hanno bisogno” del matrimonio per strappare dal nulla, dal destino del nulla, il loro stesso volersi bene. È proprio per questa inesistenza del “noi”, se non come desiderio, che per un cristiano è senza senso la vita di coppia al di fuori del matrimonio, come è senza senso l’essere trattati da coppia tra gli amici o nei contesti ufficiali: infatti la coppia, prima di sposarsi, non esiste.
Ha invece senso l’amore, l’espressione dell’amore attraverso gesti veri e adeguati, l’aprirsi costante al bene degli altri e della Chiesa. Ovviamente nessuno intende mettere sul banco degli imputati chi convive o chi sceglie di vivere una vita di coppia senza matrimonio (a volte gli stessi fidanzamenti diventano ipocritamente questo quando ci si comporta in tutto e per tutto da marito e moglie tranne che per il fatto di andare a dormire ognuno a casa propria), ma è giusto far conoscere a tutti, in modo adeguato, la proposta che la sapienza della Chiesa offre per poter vivere il legame affettivo in modo onesto e autentico, ossia il matrimonio come vincolo pubblico a servizio della comunità, un vincolo che viene reso fedele, fecondo e indissolubile dall’amore di Cristo mendicato il giorno delle nozze attraverso il consenso dei nubendi.
Per noi cristiani il matrimonio, quindi, non è contratto e non è convivenza, ma è aprire ciò che apparentemente sembra più nostro – il nostro amore – all’Amore di un Altro che trasforma in qualcosa di grande e di eterno ciò che, nelle nostre mani, sembrerebbe invece votato al fallimento. Solo chi è consapevole del fatto che l’altro non è “il tutto” della vita, ma l’inizio del Tutto che il mio cuore aspetta, trova la maturità e il desiderio di portare la propria storia e il proprio amore al cospetto di Dio affinché esso sia benedetto e io possa, giorno dopo giorno, imparare a venerare te, amore mio, come il segno attraverso il quale la mia vita diventa un bene per tutti.
Per questo ben venga la sentenza della Corte di Cassazione: essa ci offre più autorevolezza nel difendere l’istituzione civile del matrimonio e ci permette di ritrovare tutta la domanda e la sfida che ogni sì, celebrato tra due persone, rappresenta per la nostra stessa vita.