Il giornalista di Sky news Colin Brazier ha suscitato aspre polemiche per il suo reportage dal luogo in cui si è schiantato l’aereo della Malaysia Airlines, in Ucraina. Brazier ha realizzato il suo servizio accanto a due valigie di vittime, mostrandone dettagliatamente il contenuto: una scarpa, una guida turistica, una t-shirt con la scritta “I love Amsterdam”, un paio di calze grigie… Sullo sfondo altri gruppi di bagagli sparsi in terra e un fotografo a caccia di immagini.
Poi il giornalista si è avvicinato a un secondo trolley ed ha iniziato a rovistarvi dentro, tirando fuori addirittura uno spazzolino da denti. Infine, accortosi di aver superato il limite della decenza, ha ammesso: “forse non dovremmo fare quello che stiamo facendo”.
I commenti sul web non si sono fatti attendere denunciando la morbosità dell’informazione, l’assenza di rispetto per i morti, la cronaca spettacolo, anche riferita a casi italiani. Il network ha chiesto pubblicamente scusa per l’accaduto. La vicenda ha riportato attenzione sulla difficile questione dell’etica nell’informazione. Difficile perché, se in casi come quello citato è evidente l’abuso, in molti altri le cose sono più complicate e l’evidenza sfugge ai più. È forse meno grave rovistare nella vita privata di personaggi in cerca di peccati da esibire in pubblico? O, per restare nel caso in esame, mostrare particolari dei cadaveri con le cinture ancora allacciate ai sedili dell’aereo?
Tuttavia è anche vero che è solo grazie alla potenza delle immagini, anche di quelle più sconvolgenti, che possiamo capire la portata di fatti che altrimenti resterebbero lontani. Si pensi a quante immagini abbiamo oggi della sofferenza del popolo palestinese e a quante viceversa non ne circolino della tragedia dei cristiani perseguitati in decine di parti del mondo.
Analogia lontana, pochi ricordano che Franco Cristaldi, grande produttore cinematografico, iniziò la sua carriera arrivando per primo a filmare proprio un disastro, quello dell’aereo del grande Torino precipitato sulla collina di Superga. Anche allora ali spezzate, bagagli in terra, documenti con le foto dei calciatori. Ma con quale diversa sensibilità! Il limite tra la documentazione e la strumentalizzazione è sempre il rispetto della dignità della persona umana. Ma non si può stabilire a priori con delle norme, né tantomeno regolamentare con la censura, anche perché è impossibile cancellare dalla rete le immagini (e neppure le informazioni). Inoltre l’etica nella comunicazione riguarda chi la fa, ma anche chi la riceve, che può decidere, forse più liberamente ancora di chi produce, cosa, come e con chi leggere notizie e immagini che premono da mille fonti, in ogni ora, in ogni luogo.
Al di là della questione etica, immagini come quelle citate colpiscono anche per un altro aspetto. In Ucraina c’è stato un atto di guerra che è costato la vita a centinaia di civili innocenti. Le panoramiche su quegli oggetti, sparsi, abbandonati, sono sconvolgenti come quelle dei cadaveri. Parlano, perché le cose dei morti parlano di loro. Sono echi di vite, di volti, di affetti. Sono corpi insepolti. Le cose delle persone care, poi, cambiano di valore, ne acquistano, proprio perché sono appartenute a chi ora ci manca. Per chi è rimasto, sono come un pegno.