A Milano, come sempre accade con la Giunta Pisapia, le notizie si apprendono leggendo i giornali la mattina. Così, si è saputo che il Comune avrebbe individuato, senza rivelarle, alcune aree pubbliche in zona viale Certosa e in zona viale Padova da mettere a bando per la realizzazione di una o più moschee. Tutto ciò poi è stato smentito nell’aula di Palazzo Marino dall’assessore Majorino e, con più incisività, dall’assessore ai Lavori pubblici Carmela Rozza. Ad ogni modo è noto che tra la fine del mese in corso e l’inizio di agosto dovrebbe essere pubblicato un bando aperto alle associazioni iscritte all’Albo delle religioni voluto dall’amministrazione arancione, per la realizzazione di luoghi di culto.



In primo luogo, quindi, va detto che il bando annunciato da qualche mese da Majorino riguarda in realtà tutte le confessioni. Poi, fuori dall’ufficialità dei timbri d’ufficio e dei protocolli, è chiaro che la decisione è nata all’indomani del fallimento della consulta delle associazioni islamiche fortemente voluta da Pisapia subito dopo le elezioni del 2011. Il prossimo bando è figlio dell’incapacità della Giunta a mantenere la promessa di una moschea entro l’Expo. La manifesta incapacità, del resto, era evidente sin dall’inizio. Non lo affermo per individuare a tutti i costi una colpa in qualche assessore o nel sindaco, bensì per un semplice motivo di metodo: le associazioni islamiche non sono sigle sindacali che intavolano trattative con una controparte su una vertenza. Lo affermo anche per una questione di sostanza: le associazioni di cittadini di fede musulmana sono variegate, spesso caratterizzate dall’elemento etnico, ed esprimono differenti sensibilità e modalità di vivere la propria appartenenza.



E qui, sì, c’è da individuare una colpa negli esponenti di Giunta e maggioranza di sinistra, e cioè quella di aver pensato di legittimare come portavoce unico un soggetto che divide più che unire. Mi riferisco a Davide Piccardo, già candidato alle ultime amministrative con Sel, nonché figlio di Hamza, fondatore dell’Ucoii, ovvero il referente italiano dei Fratelli musulmani. L’uomo, promotore del Coordinamento associazioni islamiche di Milano (Caim) si è distinto in questi tre anni per avere nell’ordine: accartocciato e messo in tasca (invece di leggerlo pubblicamente) il messaggio di saluto del cardinal Scola ai musulmani riuniti all’Arena civica nell’estate del 2012 per la fine del mese sacro di digiuno; aver invitato a predicare all’Arena nell’estate del 2013 il siriano Al Bustanji, noto in medioriente per incitare in tv i minori al martirio in Israele; aver dato degli “assassini” ai membri della comunità ebraica che il 25 aprile hanno sfilato per il centro di Milano con la bandiera della Brigata ebraica, la storica componente dell’esercito britannico che risalì l’Italia insieme agli Alleati contribuendo a liberarla dal nazifascismo.



Inoltre ho avuto modo di riportare in aula di Consiglio una notizia resa nota su Panorama da un ricercatore dell’Ispi, prestigioso istituto di studi internazionali. Lorenzo Vidino, sul numero del 30 aprile del 2014, denuncia che Musa Cerantonio, un 29enne australiano di origini italiane convertitosi all’islam radicale, «predica su internet e in tv, ispirando centinaia di occidentali ad andare a combattere in Siria per cacciare Bashar al Assad». E che «proprio nel capoluogo lombardo è stato ospite di una delle moschee del Coordinamento associazioni islamiche di Milano (Caim), l’organizzazione che sta per ottenere il permesso di costruire la moschea in vista dell’Expo».

Il punto decisivo di tutta la discussione è proprio questo: chi si intende legittimare quale interlocutore privilegiato. Dopodiché si può anche riflettere sulla realizzazione di un’unica grande moschea (come a Roma, tra l’altro), piuttosto che tante piccole di quartiere. Ma è chiaro che in gioco non c’è la difesa o meno della libertà religiosa. Come potrebbe esserlo nella città dell’Editto di Costantino, che ancora oggi ospita 18 luoghi di culto di confessioni cristiane diverse dalla cattolica e una ventina di sinagoghe? Il nodo da sciogliere è solo uno: con quale islam si vuole dialogare. Di più: quale si vuole legittimare. Sapendo che l’eventuale scelta è connessa con quanto sta accadendo al di là del Mediterraneo. Pensiamo all’Iraq e alla proclamazione del nuovo Califfato, con la conseguente cacciata dei cristiani da Mosul. Presto quei profughi potrebbero approdare sulle nostre coste, insieme ai siriani. E la Giunta cosa fa? Non è secondario il problema di chi si legittima se si viene a sapere che un’associazione piuttosto che un’altra invita i fiancheggiatori del jhiadismo internazionale, di fatto permettendo loro di fare propaganda per ricercare nuovi adepti. Non è secondario se si pensa che una sessantina di profughi giunti in Stazione centrale nelle scorse settimane è accolta in alcuni dei centri culturali islamici pur presenti in città.

Il grido d’allarme giunge proprio da quelle realtà di cittadini stranieri di fede musulmana che vive e opera sul nostro territorio, contribuendo alla creazione di ricchezza e lavoro. Giunge dalle associazioni degli egiziani, dei marocchini, dei somali. Giunge da quel 19% di stranieri, secondo dati della Camera di Commercio, titolari di impresa. Il fatto che al prossimo bando sui luoghi di culto annunciato dalla Giunta possano partecipare solo le sigle iscritte all’Albo delle religioni, fuori da qualunque tracciato istituzionale e statale, aumenta i rischi che prendano piede in città i pessimi interlocutori legittimati da Pisapia e i suoi. Proprio nel drammatico contesto in cui vengono a trovarsi le popolazioni arabe del nord Africa e del Medioriente.