Per lavoro viaggio. Abbastanza spesso. Ultimamente ho riscoperto il piacere di farlo in treno, soprattutto per attraversare il nostro meraviglioso Paese. In treno puoi lavorare, leggere, ascoltare la musica, chiacchierare con il collega o il vicino. Oppure, semplicemente, guardare fuori dal finestrino e goderti dei paesaggi incantevoli. L’altro giorno sono partita da Arezzo alle 10.13 per andare a Roma. O meglio, sarei dovuta partire alle 10.13 perché il treno, in arrivo da Firenze, aveva 19 minuti di ritardo. Una volta salita sulla carrozza di prima classe, mi sono accomodata al mio posto, rigorosamente non numerato. Ho preso i giornali che avevo comprato in edicola e mi sono messa a leggerli. Ad un certo punto, però, mi sono ricordata che dovevo fare delle telefonate di lavoro. Ho preso il mio smartphone e l’ho collegato alla presa di corrente posta sotto il tavolino. Inutilmente, come ho scoperto dopo qualche tempo, perché la presa non funzionava. Ho provato anche in quella del posto accanto. Niente da fare. Risultato, telefono scarico a fine viaggio, a causa delle numerose chiamate. Poco prima di arrivare, ho poi deciso di andare alla toilette. Per raggiungerla, ho aperto la porta del corridoio e mi sono trovata davanti lo sportello spalancato del pannello di controllo del quadro elettrico del treno, che sbatteva ripetutamente e pericolosamente contro il vetro. Ho provato a chiuderlo, ma non avendo una chiave a tubo in tasca (che sbadata!), dopo qualche inutile tentativo ho lasciato perdere e sono entrata nel bagno. Il pavimento era allagato. Fortunatamente avevo delle sneakers. Ho pensato che il passeggero prima di me avesse esagerato mentre si lavava le mani. Invece ho scoperto che premendo il tasto di scarico, l’acqua usciva direttamente da sotto il water. Inopportuno sperare nel sapone per lavarsi le mani o in fazzoletti di carta per asciugarle. Una volta uscita, ho sconsigliato alla signora in attesa, che indossava dei sandali aperti, di entrare. Mi sono riseduta al mio posto attendendo l’arrivo a Roma Termini, avvenuto con 12 minuti di ritardo. Il treno ne aveva recuperati 7 strada facendo. Inutile dire che nessuno ha controllato sul treno che avessi effettivamente il biglietto. Ho cercato di trovare un aspetto positivo del viaggio. Mi sono resa conto che almeno questa volta non avevo dovuto invitare il dirimpettaio ad essere più educato abbassando il tono di voce quando parlava al telefono o quello del tablet se stava guardando un film. Scendendo dal treno ho aiutato una signora thailandese con due figli a scendere, visto che aveva quattro valige pesanti. Mi ha guardato come fossi una marziana e continuava a ringraziarmi, mentre una coppia di giovani italiani, senza attendere che scendessimo, la travolgesse per salire. Arrivata a destinazione ho preso il taxi e ho chiesto al conducente di portarmi al mio appuntamento.



Una volta dato l’indirizzo mi sono sentita chiedere: “Sa dove si trova la via?”. Ho risposto che non essendo di Roma, non ne avevo idea e che mi sarei informata. Una volta forniti maggiori ragguagli mi sono sentita fare tre volte le stesse domande, sintomo del fatto che le mie risposte non venivano ascoltate. E allora mi sono chiesta se forse, prima di sperare che delle riforme elettorali o Costituzionali possano davvero cambiare il futuro dell’Italia, non sarebbe il caso di ricominciare dai comportamenti individuali, partendo dalle piccole cose. Se non fosse il caso di prendere seriamente quello che facciamo tutti i giorni. Indipendentemente dal mestiere che svolgiamo. Pensando a noi stessi e agli altri. Che siano clienti, amici, passanti, viaggiatori, sconosciuti. Se non fosse il caso di trasmettere questa passione per le cose fatte bene e per l’educazione ai nostri figli. Perché le lezioni di cittadinanza possono investire grandi temi, ma devono partire dalla quotidianità di comportamenti individuali se non virtuosi, almeno corretti. Se non ricominciamo ad amare questo Paese e i suoi valori, difficilmente potremo cambiarlo in meglio.

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