Che Giuliano Ferrara non ami Papa Francesco non è una novità. Come ha scritto anche ultimamente, Bergoglio è «un Papa gesuita e pastorale, la cui teologia biblica sa di misericordia, di oblio e negazione della razionalità» (“L’abdicazione di chiesa e cultura”, Il Foglio, 7 agosto 2014). Con lui «la Chiesa ha abbandonato il campo di battaglia. Si cura le ferite con un linguaggio riluttante e trasversale, fatto di nascondimenti e di gioia evangelica esibita, ma non si capisce fino a che punto vissuta o visibile».
Al direttore de Il Foglio il Papa latino-americano non piace. Interessato non alla fede ma alle sue conseguenze etico-politiche disdegna, da realista post-comunista, tutto ciò che è “dialogico” a favore dello scontro “dialettico”. Il cristianesimo è, per Ferrara, l’ideologia dell’Occidente, il collante di quei valori che la secolarizzazione, con il suo edonismo vacuo e vuoto, pone ogni giorno in discussione. Sensibile ai “principi non negoziabili”, non lo è per un’altra gamma di valori, quelli propriamente sociali concernenti la pace tra i popoli, la lotta alla povertà, il destino dei palestinesi nell’eterno conflitto con Israele. Il mondo di Ferrara è analogo al Tea Party americano, con il suo no all’aborto-eutanasia-cultura gay e il suo sì alla guerra, al capitalismo finanziario, all’occidentalismo come ideologia. Pregi e difetti di una visione teocon che, per uscire dal club del Foglio, deve trovare sponde esterne, soprattutto in quella parte del mondo cattolico che, uscito frastornato dalle dimissioni di Benedetto XVI, non è riuscito a sintonizzarsi con lo stile pastorale e diretto del Papa argentino.
Da abile politico Ferrara ha fiutato, da subito, questo disagio e lo ha cavalcato approfittando di circostanze diverse. Dalla Lettera a Papa Francesco (11 febbraio 2014), in cui si invitava il Pontefice a reagire e a tornare allo scontro sul tema dei “principi non negoziabili”, al contributo nel volume di Gnocchi & Palmaro Questo Papa piace troppo. Un’appassionata lettura critica (Piemme 2014), l’Elefantino si è proposto come il punto di riferimento del cattolicesimo conservatore in Italia, quello che oppone oggi il pontificato di Francesco a quello di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ogni volta è lui che dà inizio alle danze, ripreso poi dalla variegata galassia del tradizionalismo cattolico.
L’ultima occasione è offerta dai supposti “silenzi del Papa” sulla tragedia dei cristiani iracheni, tasto sul quale il Foglio insiste particolarmente nell’ultimo mese. Attenzione giusta e meritoria, non c’è dubbio, se, ancora una volta, le carte non si mescolassero e il quadro non apparisse ambiguo. Così Ferrara è stato abile nell’indire, il 30 luglio, una veglia del Foglio «per Israele e i cristiani perseguitati» legittimando, in tal modo, la guerra israeliana contro Gaza assimilata alla difesa del cristianesimo dal radicalismo islamico. Egualmente le critiche, reiterate, a Papa Francesco, accusato di essere tiepido per non aver denunciato con più forza il dramma dei cristiani in Iraq, per aver taciuto il nome del “nemico” islamico, servono a ribadire la minaccia odierna per l’Occidente e, insieme, contribuiscono a delegittimare, agli occhi di molti cristiani, l’autorità del Papa presentato come inerte e rinunciatario.
Tanto ardore, in coloro che combattono con la penna sulle spalle di altri, non tiene evidentemente conto che un Pontefice romano non può dire ciò che vuole. Ratisbona docet. Il ché non vuol dire che il Papa vilmente arretri di fronte alla minaccia dell’islamismo radicale, tacendo. Né tanto meno che non si stia attivamente adoperando per la difesa dei cristiani in Iraq. Chi è guida spirituale di un miliardo di persone deve usare cautela e non può certo offendere la fede di un altro miliardo di persone. Se lo facesse sarebbe un irresponsabile. L’avversario che i giornalisti con l’elmetto vogliono fargli proferire non può essere l’islam ma le sue deformazioni. In caso contrario sorge il sospetto che non si voglia salvare i cristiani ma solo utilizzarli come vittime sacrificali per legittimare l’odio tra i popoli e le religioni.
Al di là di ciò, quello che rende questa polemica “indecente” è, comunque, il fatto, come hanno sottolineato Fulvio Scaglione (“Anche sui cristiani dell’Iraq c’è silenzio e silenzio”, Famiglia cristiana, 10 agosto 2014) e Massimo Faggioli (“Il silenzio di Papa Francesco e la cattiva coscienza dei cattolici neo-con”, Huffingtonpost.it 11 agosto 2014), che chi oggi accusa il Papa di silenzio sul destino dei cristiani in Iraq – in primis Ferrara – sia stato, nel 2003, tra i principali fautori della guerra di Bush contro l’Iraq di Saddam Hussein. Cantori di una guerra che ha portato all’esodo di più di mezzo milioni di cristiani iracheni e alla distruzione di una Chiesa bimillenaria il cui destino, tragico, si sta consumando proprio in questi giorni. Sono gli stessi che, allora, tuonarono contro Giovanni Paolo II, fermo ed intrepido nell’opporsi alla guerra che doveva portare al “nuovo ordine mondiale”, accusandolo di irrealismo. Sono gli stessi che oggi oppongono la dottrina dell’ingerenza umanitaria di Wojtyla allo spirito imbelle di Bergoglio dimenticando e tacendo il fatto che allora proprio loro lasciarono solo il Papa polacco che chiedeva pace e non guerra. Sono gli stessi che svuotarono il messaggio del Papa, ora interpretandolo come un’esortazione “spirituale” e non politica, ora presentandolo non come un “pacifista” ma, stravolgendo interamente le sue dichiarazioni, come un “Papa soldato”.
La storia, come sappiamo, ha la memoria corta e tuttavia coloro che hanno applaudito, nel 2003, l’intervento militare con il disastro che ne è conseguito dovrebbero avere, ora, il pudore di tacere e non di ergersi, ancora una volta, a paladini dell’Occidente cristiano contro il Papa di turno. Coloro che si opposero a Giovanni Paolo II, a favore di Bush e del potere mondiale, non possono oggi richiamarsi a Papa Wojtyla contro Papa Francesco. È una questione di decenza. Adesso, proprio a causa delle scelte compiute dieci anni fa, un intervento militare appare ineludibile per salvare cristiani ed islamici dalla furia assassina di uomini senza volto. Un intervento che non sarebbe stato necessario se il nuovo ordine mondiale imposto dall’amministrazione Bush, tanto caro a suo tempo a Ferrara, non avesse generato, in questi anni, un disordine senza precedenti.