Difficile dire se la lettera anonima di recente indirizzata ai No Tav sia il passatempo estivo di un buontempone o, invece, un documento politico autentico, firmato da una sigla realmente operante. L’esperienza, tuttavia, induce a prendere sul serio le minacce in essa contenute. Il punto di partenza dell’analisi, infatti, è realistico: i No Tav si sono infilati in un tunnel – stavo per dire “in una galleria” – che li ha portati all’isolamento e alla sconfitta. Non erano sbagliate solo strategie e tattiche, lo era la causa in sé. Non sempre le cause sbagliate perdono la posta. Ma, alla fine, è quanto è successo. 



Non c’è dubbio che l’alone di delusione è molto esteso, perché No Tav era diventata una sigla di condensazione che aveva raccolto appoggi in tutta la sinistra radicale della Penisola, compresi intellettuali alla Erri De Luca e cronisti compiacenti. Non solo: settori del M5S hanno condiviso sinceramente la lotta No Tav. Come accade ciclicamente nell’universo piccolo e frastagliato dei movimenti radicali, No Tav in Val di Susa si era trasformato in un luogo e un mito capaci di rimpiazzare nell’immaginario della sinistra radicale Genova 2001, quando le manifestazioni contro il G8 nel luglio di quell’anno sfociarono in gravi disordini e in pestaggi alla messicana condotti dai reparti speciali nella Scuola Diaz. 



La caduta del mito No Tav sottoproduce, come sempre in questi casi, o il ritiro nel privato a leccarsi le ferite, o una nuova reazione, generalmente più arrabbiata e più radicale. Chiunque voglia raccogliere nuove disperazioni e nuove energie per nuove rabbie trova un campo di reclutamento. Che, poi, i Noa (Nuclei operativi armati) siano tale soggetto reclutante o un bluff, solo un’attività di intelligence può accertarlo. Non si può neppure escludere che la lettera sia nata all’interno del variegato mondo No Tav come una sorta di tentato ricatto politico: “o tornate a muovervi o qualcun altro lo farà più radicalmente e efficacemente al vostro posto”.



Tuttavia, la maggiore spinta all’uso della violenza – non necessariamente e immediatamente armata – nel conflitto sociale non nasce dalle delusioni per una causa fallita, ma dal clima vischioso e mefitico che si respira nel Paese di questi tempi. Benché gran parte del Paese sembri reclamare cambiamenti, in realtà la struttura reale del Paese, costituita di corporazioni consolidate, vi resiste. Il Parlamento del Porcellum è divenuto la Camera di rappresentanza delle corporazioni, che chiedono il cambiamento ciascuna di ogni altra, mai di se stessa. L’effetto di blocco e scoraggiamento sulle giovani generazioni è evidente. Chi può cerca fortuna altrove; chi sta al Sud, cerca il Nord; chi sta a Nord, cerca un Nord più a Nord. Ma chi resta bloccato nel sistema-Paese respira disperazione. E questa non ha bisogno di strategie, di culture, di tattiche. Esiste. Ogni occasione è buona per accenderla. L’autunno che sta per arrivare non sarà ancora un autunno normale.

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