Sergio Rosso è gran maestro della Massoneria a Torino e a me sembra don Piero quando si veste “normale” perché sono le sette ed è ora di aprire la mensa giù alla caritas. È pure un po’ spettinato come lui quando gli citofoni alle due e mezzo e lo svegli dal sonnellino. Buono però: perché sa che i tuoi genitori chissà dove sono e non hai dove andare a giocare al biliardino. Poi, quando inizia a parlare – Rosso, non don Piero – capisci che sei a Torino, magari zona Mirafiori, perché il framassone dà numeri da catena di montaggio. Si sono accorti, spiega, che nella città dell’auto non c’erano mense serali e allora hanno messo da parte i grembiulini, si sono rimboccati le maniche, e adesso sfornano 100mila pasti l’anno. Poi forniscono 5mila interventi gratuiti dal dentista, 500 protesi, cure per tutti i bambini che il comune dà in affido, 500 paia di occhiali ogni anno, 32 mini alloggi, 20 posti letti e via contando.
Io penso a don Piero, ai suoi numeri, e mi viene un po’ d’invidia anche se c’è qualcosa che non mi torna. Così vado avanti e quando arrivo a Marco Cauda capisco quello che mi sfuggiva. Dice che tutta questa filantropia la fanno perché vogliono migliorare loro stessi come individui, che è un concetto complementare a quello di Rosso che sapeva di non poter risolvere i problemi del mondo ma, insomma, l’imitazione è una cosa importante e se loro danno il buon esempio qualche altro verrà dietro (che, per essere a Torino nel bicentenario di san Giovanni Bosco, non c’è male).
Grazie a Cauda però capisco il trucco e trovo la cosa che manca. Mi torna in mente quando il Papa disse che “la Chiesa non è un negozio, non è un’agenzia umanitaria, non è una ong”. Era il 23 ottobre 2013 ed è quando Francesco si è messo a parlare di Maria che va ad aiutare la cugina Elisabetta. Se Maria fosse stata una framassona (in ossequio alle pari opportunità esistono dei riti che ammettono le donne) un business plan da “madre del messia” doveva essere ben diverso perché non si può correre il rischio di perdere il bimbo in un simile viaggio. Ma Maria si è comportata come si è comportata, perché il Dio dei cristiani è un Dio che sa contare solo fino a uno.
Sotto la spinta di Papa Francesco, le logge provano a riscattarsi aprendo asili nido e mense ma forse non sanno che quando si fa il bene, la mia crescita personale e le migliorie dell’umanità non sono la partenza ma la fine. Dar da mangiare a chi ha fame non mi fa trovare me stesso ma Gesù. Non penso di “dare” io qualcosa ma di “trovare” io qualcosa, qualcuno.
Come ha vissuto Maria la sua vita per Gesù e per gli altri? Non ha fatto un’organizzazione, non ha fatto una raccolta fondi, perché non ha “fatto” ma ha “vissuto”. Un’ esistenza normale: faceva quello che era, e faceva il bene a chi aveva vicino.
Nel video non manca la parola Gesù, quella non me l’aspettavo, manca la parola amore (che poi vuol dire Gesù, ma è un altro discorso). Senza quella parola è una prospettiva completamente diversa e se ne accorge anche l’ateo. Chiedetelo a quegli adulti – magari non credenti – che mandano i figli in scuole cattoliche. Sotto sotto, sanno che il bimbo sarà preso per quello che è, unico: il Dio dei cristiani sa contare solo fino a uno. Anche la Chiesa ha la sua organizzazione ma non è l’anima. La Chiesa è prima di tutto madre. Non “materna”: madre. Cioè non fa le cose “come” una madre, lo è. Come Maria appunto. Guardiamola e non vedremo nulla. Perché la differenza tra un’iniziativa sociale e la carità, non si vede. È dentro.
Essere ong è molto più semplice che essere come Maria. Forse la Massoneria non vuole farsi superare sul sociale. Forse ha bisogno di far conoscere quello che fa per gli altri. Forse. Ma guardiamo a chi non ha detto “forse” ma “sì” e troveremo il più bel “sì” della storia umana: un Amen. Che è far entrare l’amore. Le crisi, le nostre crisi, si vincono con i “sì” che sono degli “Amen”. Sono loro che organizzano il nostro modo di alzarsi e di andare.