Sara, Luca, una bella coppia. Giovani e belli questi ragazzi anconetani sorridenti nelle istantanee che si srotolano in Rete. Le sfogli, provando a captare un’ombra, un tassello che stona nel mosaico splendidamente banale che raccontano. Nulla. Loro abbracciati, timidamente, senza esibizionismi. Coi nonni, giovani anch’essi, che li aiutavano a crescere le loro due bambine, 4 anni e diciotto mesi. Brava gente, che dava una mano a una famigliola di quelle classiche, e benedette: un lavoro entrambi, lei infermiera, lui macchinista alle ferrovie, col posto fisso, insomma, di quelli sicuri; una casetta linda e pittata di fresco, con un balconcino che guarda il mare. 



Cosa manca alla felicità, quando ti girano intorno due frugoletti biondi, in salute, con l’unico desiderio di crescere al sole, di schizzarsi con l’acqua di mare, e lanciarsi la palla e far le formine in spiaggia. La più grande era in spiaggia con la mamma. Si chiederà per sempre quell’anima dolente perché aveva lasciato col padre la più piccola, perché non l’aveva portata sotto l’ombrellone con sé. Forse qualche linea di febbre? Forse troppo caldo? Forse un surplus di attenzioni alla primogenita, che qualche volta accusa un po’ di gelosia, è normale. Forse solo la voglia di godersele una per uno, quelle creature, visto che è domenica e il papà non lavora. 



Non può rimproverarsi nulla, la madre: perché nulla poteva far presagire quella telefonata assurda, la voce discorde del suo uomo, che la chiama, “ho fatto un casino”. Avrà lasciato il rubinetto aperto? La casa allagata? Bruciato una pentola? Cosa può mai fare un padre di poco più di trent’anni. E subito il pensiero alla piccola, Alessia, mentre lui ne pronuncia il nome. Sta male, è caduta? L’ha lasciata sola e si è messa in bocca qualcosa… Ma perché suo padre non urla, non corre, perché mi telefona, se è successo qualcosa. 

Sara è infermiera, gli ha sempre spiegato tutto, conosce tutti i medici, i reparti. Deve aver capito da quella voce lontana e sconosciuta che Luca, suo marito, non era più lui. Si è affidata all’unico altro uomo di cui si fida, suo padre, e insieme si sono precipitati a casa. Ed è il nonno a impersonare la Pietà, a tenere tra le braccia quel fagotto di sangue, a offrirlo agli infermieri del 118 subito chiamati e accorsi. La sua nipotina. Straziata, piena di tagli, lacerata al petto, che non respira. “Fate di tutto, salvatela”. Lo sconcerto a quell’unità mobile di pronto soccorso, come puoi essere preparato a un’urgenza così, come rianimi un cadaverino, come fermi il sangue che non scorre più, perché non c’è più vita a muoverlo. Come riapri quegli occhi, come fai ripartire quel cuore ferito. Su quell’ambulanza, altri cuori si sono ristretti, incapaci di lacrime. Si sono fermati i cuori dei nonni, dei parenti, vicini, e di quella madre, che aveva capito.  



C’era una mano assassina, non era fatalità, la mano che ha impugnato un coltello era la mano di Luca, il suo sposo, il papà, che Alessia la faceva ridere, con quell’aria da monello, quella faccia sbarazzina da impunito. Ora è lì accanto, immobile, lontano, perduto, mentre attende i carabinieri che lo portino via. Accanto  a lui, l’arma insanguinata. “Gli ho lasciato il coltello accanto, speravo che si ammazzasse”, dice con un soffio quella povera donna uccisa, due volte uccisa, in sua figlia e nell’anima, per sempre morta, per quelle ferite impossibili da risanare. La bambina, il suo compagno, la sua giovane vita. Se fosse morto anche Luca, la pazzia sarebbe una risposta vagamente plausibile. Ma lui è lì, con la solita zazzera, il solito orecchino che fa tanto fico, quegli occhi tante volte guardati, e baciati. E non dice nulla, perché non c’è nulla da dire. Perché? C’è un solo perché al mondo che spieghi il gesto feroce di un padre verso la sua bambina?

Ci proveranno per mesi psicologi, medici, inquirenti, giornalisti. Piangeva troppo, abbozza qualcuno. Depressione, vien fuori da un altro, spettro  abusato, in questi tempi malati, per dare un nome alla violenza e alla follia inaccettabili che sappiamo generare. Troppi episodi di pazzia, troppa rabbia repressa e scatenata da una furia demoniaca, sì, è l’unica parola da usare. Perché tanto male può solo servire al Male, a creare e volere altro male, a corrodere menti e distruggere speranze, e rendere più bestiali gli uomini. Gli uomini e le donne più deboli e sole ne sono sopraffatti, sono le loro anime fragili a diventare strumenti diabolici. 

In questi giorni, tante Alessie vengono uccise con orrore in un paese lontano. Non c’è bisogno, di uccidere i bambini, neppure in guerra. E poi fossero bombe, cadute anonime dall’alto, come un fulmine cieco. Ma sono mani di uomini, certi di servire la giustizia. Non sono mani di padri, si dirà. Eppure il male assume tante forme, si scatena in modi imprevisti e incontenibili. Solo un Dio più forte del male può salvarci dall’Apocalisse che mostra i suoi segni, solo un Dio potrà ridare la pace alle donne strappate dei loro figli, abbandonate allo strazio davanti al loro sangue innocente.