Si potrebbe raccontare Francesco e il suo primo viaggio in Asia solo attraverso ciò che non era previsto. Quei fuoriprogramma che rivelano la sua umanità, il modo in cui sbotta quando proprio non riesce a seguire il testo scritto e sente di non aver comunicato con abbastanza passione, la paternità espressa in abbracci e risate improvvise, i piccoli gesti che rivelano la profonda comprensione dei dolori altrui, gli scarti d’azione rispetto al dovuto e al politicamente corretto. 



Bergoglio è uno spettacolo continuo, un’opera dello Spirito costantemente indefinita, sfuggente e magnetica. Giusto per dimostrare la mia teoria riassumo per sequenze “off record” il viaggio in Corea: 1. Il silenzio sull’aereo dell’Alitalia che lo portava in Italia condiviso con i giornalisti embedded per ricordare Simone Camilli, il videoreporter saltato su una granata inesplosa a Gaza. 



2. La sosta lungo l’anello, amaro per gli italiani che lo percorsero a testa china dopo l’esclusione per manifesta sfortuna dal mondiale del 2002 (ed una buona dose di complicità coreano-messicana),  dello stadio di Daejeon. Il gioco di sguardi e di strette di mano con i superstiti e i familiari delle vittime del traghetto Sewol. 

3. Lo scoppiettante incontro, nel tendone refrigerato presso il Santuario di Solmoe, con i giovani arrivati da tutto il continente per la VI giornata della gioventù asiatica (e ovviamente per lui). Nessuno credo potrà mai dimenticare il suo fantasioso inglese “alla Totò e Peppino”, le parole che masticava contorcendo il faccione, e il delirio provocato tra i 6mila ragazzini abituati ad indossare tutti gli stessi cappelli e ad inchinarsi 20 volte al minuto. Modello educativo tra i più belli che io abbia mai visto e allo stesso tempo perfetto esempio di Testimonianza evangelica. 



4. E ancora a Solmoe, il modo con cui ha affrontato la questione scivolosa della riunificazione delle due Coree, mettendo lì a pregare, senza perdere tempo che già se ne era perso abbastanza, i ragazzini (a pregare prima si inizia e meglio è). 

5. Il tempo “perso” nel centro di Kkottongnae, dove suore amorose si occupano di disabili e anziani, infermi e bambini down. Il modo in cui accarezzava le teste, dondolanti e mobili, simili a quelle che negli anni 70 in Corea venivano sbattute sui marciapiedi perché inutili. 

6. La fuga in famiglia, a Seoul, alla Segang University tenuta dai Gesuiti. Il suo “chiacchierare” rilassato, dopo una giornata intensa, potrebbe essere usato come “summa” del suo pontificato. 

7. Va da sé, il fiocco giallo appuntato per giorni sulla sua mantellina bianca, simbolo di un dolore accolto e condiviso. Un segno che qualcuno aveva suggerito di togliere (lo ha rivelato Bergoglio stesso nella sua intervista ad alta quota rispondendo alle domande dei giornalisti) perché “inopportuno” vista la tensione tra governo e comitato di sensibilizzazione sulla tragedia del Sewol, sponsorizzando una linea di “neutralità”. 

Ovviamente ha continuato ad indossarlo, mandando praticamente a quel paese il solerte consigliere (lui questo ovviamente non l’ha detto, ma si è capito). “Ma senti con il dolore umano non si può essere neutrali. Così ho risposto, quello io mi sento”. 

8. Il battesimo amministrato nella Nunziatura di Seoul. L’acqua versata sulla testa del padre che aveva perso il figlio nella tragedia nazionale. Il dono più grande: non potendo restituire a Lee-Hong la carne della sua carne, la vita persa, gliene ha data una nuova, più grande. Insieme al suo nome, Francesco. 9

9. Le sferzate ai vescovi asiatici nel Santuario di Haemi, il disegno concretissimo di una chiesa aperta, dialogante e capace di empatia. Prossima a chiunque. 

10. Il “wake up” urlato, sempre ad Haemi, dall’altare del Santuario a conclusione della piccola Gmg asiatica. Il grido di incoraggiamento a giovani che di problemi ne hanno un bel po’ (pensate ai cattolici cinesi alle prese con un governo non proprio simpatico, o anche semplicemente ai coreani che se la devono vedere con le mamme-tigri, tutte aspirazioni ed esasperazioni, ossessionate dal successo sociale dei proprio pargoli. 

11. E infine la corsa, appena sceso dall’aereo, dalla Madonna nel centro di Roma, per lasciarle il mazzolino di fiori orientali regalatogli da una bambina. Una preghiera necessaria come aria per Bergoglio. 

Queste le istantanee che mi sono venute in mente così, senza strategia, semplicemente pescando tra ciò che mi è rimasto nel cuore. Momenti che parlano di un uomo che sa testimoniare l’amore e la misericordia di Dio. Poi c’è il resto. Come l’intervista a tutto campo rilasciata ai giornalisti nel volo di ritorno. 15 domande in un ora di conversazione. Una delle più belle mai rilasciate, per lucidità di giudizio e chiarezza. In cui ancora una volta viene fuori il miglior Papa possibile. Ma quella leggetevela, integrale.

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