Le analisi effettuate sui computer sequestrati a Massimo Giuseppe Bossetti, in carcere dal 16 giugno scorso con l’accusa di aver rapito e ucciso Yara Gambirasio, mostrerebbero numerosi accessi a siti pedopornografici e ripetute ricerche online effettuate anche con la parola “tredicenni”. Questo, però, non significa che il carpentiere di Mapello sia per forza colpevole: “Accedere a siti porno nasconde la possibilità che si aprano pubblicità o che automaticamente vengano scaricati elementi non desiderati”, ha spiegato all’Adnkronos Paolo Reale, consulente informatico nel caso del delitto di Chiara Poggi e tra i fondatori dell’Osservatorio nazionale di informatica forense. Secondo l’esperto, infatti, “può capitare navigando in siti porno di imbattersi in siti pedopornografici, ma l’idea che si possa effettuare una vera navigazione non è corretta. La maggior parte degli scambi di questo tipo di materiale avviene peer to peer e non attraverso siti”. Inoltre il controllo su questi scambi è molto alto: “Di recente Google ha intercettato nella casella mail di un proprio utente materiale dai contenuti chiaramente pedopornografici, lo ha denunciato e lo ha fatto arrestare – ha aggiunto Reale – Trovare una o due immagini nella memoria di un computer può essere frutto di una ricerca non volontaria, non intenzionale. Se questo tipo di materiale è proporzionalmente poco rispetto a quanto trovato in un pc si può pensare ad accessi casuali”.