“Lo stile di povertà e di umiltà si addice ad ogni cristiano. Non solo per un motivo di convenienza, ma perché esso fu lo stile di Gesù che si accostò ad ogni uomo”. Lo dice a ilsussidiario.net il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, oggi al Meeting di Rimini per parlare dell’Evangelii Gaudium e delle sfide del cristiano e della Chiesa, “dall’America latina all’Italia”. La Chiesa? La sua intepretazione politica è una fase conclusa, spiega il cardinale. Essa non deve né fare lobby, né concepirsi come il “sindacato dei credenti”, ma annunciare e portare ovunque il Vangelo alla maniera di Francesco.



Eminenza, il Papa sembra dirci  – soprattutto dopo l’Evangeli Gaudium – che una reale riforma della Chiesa può avvenire solo se la Chiesa esce da se stessa e si dirige verso l’umanità dispersa, bisognosa e ferita. Che cosa vuol dire per lei concretamente tutto questo nella vita pastorale quotidiana?
Significa essenzialmente tre cose: incontrare, ascoltare e curare. Un vescovo, infatti, ha la possibilità di sperimentare questo “uscire da se stessi” mille volte al giorno. A volte è sufficiente camminare per la strada per capire i bisogni e “le attese della povera gente”, come diceva La Pira. Ma è soprattutto nella visita pastorale della mia diocesi che ho potuto toccare con mano le piaghe, morali e carnali, di moltissime persone. Ho visitato malati e infermi negli ospedali, nelle case di cura e fin dentro le proprie case portando una preghiera e una parola di conforto. Ho incontrato le diverse comunità di immigrati accogliendo il loro disagio e le loro difficoltà. Sono andato nelle scuole e nelle università dove ho trovato studenti meravigliosi, anche non credenti, che hanno testimoniato un bisogno enorme di essere ascoltati e la necessità di essere valorizzati da una società troppo vecchia che sembra non curarsi più di loro. Sono andato nelle fabbriche, soprattutto quelle in crisi, incontrando i dirigenti e gli operai con le loro famiglie, cercando in tutti i modi di salvare la dignità di quelle persone che perdendo il lavoro rischiano di scivolare in un buco nero senza speranza. D’altra parte, sin da quando ero vescovo di Massa Marittima-Piombino, ho sempre avuto un contatto diretto, molto stretto, con il mondo del lavoro. Ed oggi come allora ho molto a cuore la situazione di migliaia di operai delle acciaierie. Ieri quello dello stabilimento siderurgico di Piombino, oggi come presidente della Conferenza episcopale umbra non posso non pensare alla situazione delle acciaierie di Terni.



Per anni si è pensato alla presenza della Chiesa nella società come a quella di un soggetto politico, al pari del sindacato o di confindustria. Oggi le cose sembrano cambiate. Che cosa significa per la Chiesa oggi “essere nel mondo”? 

Se per anni, come dice lei, la Chiesa è stata percepita solamente come una sorta di soggetto politico-sociale significa che la sua azione pastorale è stata totalmente fraintesa. Oggi, però, con decisione dobbiamo affermare che la Chiesa non è certo il sindacato dei credenti, non è neppure un club di iniziati dediti ad attività ludico-ricreative e non è neanche un’associazione umanitaria. La Chiesa è il popolo di Dio in cammino su questa terra. Essa è composta dai battezzati, ma è anche aperta a tutti gli uomini di buona volontà che scoprono nel messaggio evangelico qualcosa di determinante per la loro vita. La Chiesa manifesta nel mondo, con tutti i limiti che volete, l’inizio del Regno di Dio: il futuro dell’umanità rinnovata e liberata dalla corruzione del peccato, una cosa che va al di là del tempo presente. La Chiesa, dunque, non fa azioni di lobbying ma può essere nel mondo una sorta di “coscienza critica” nei confronti delle “strutture di peccato” che soffocano l’umanità. La Chiesa può e deve svolgere una funzione di equilibrio tra i potenti e gli ultimi della Terra. In definitiva, come sta dimostrando papa Francesco con il suo magistero, la Chiesa deve, prima di tutto, annunciare Gesù e, secondo luogo, impegnarsi per la giustizia che è indubbiamente un valore evangelico.



L’umanità che incontriamo oggi non è né ideologicamente né emotivamente definita, è una umanità fluida, inquieta, spesso oppressa dalla paura o da una sottile violenza reciproca. Come annunciare oggi a questa umanità che il Destino − come dice il titolo del Meeting − non l’ha lasciata sola, ma la cerca e la ama?
Ecco, questo è compito della Chiesa: annunciare all’umanità smarrita che c’è una speranza, che non finisce tutto con il limite di una vita. E che neppure in questa breve e convulsa esistenza siamo lasciati soli, perché c’è un Destino, un Amore instancabile, che ci segue e – come diceva un noto teologo – “ci attende”!

Chi la conosce non per sentito dire, sa quanto lei sappia stare vicino alle persone. Dopo la nomina a cardinale immaginiamo che si siano moltiplicati gli impegni: le sembra che questo la allontani dalla gente o invece le fa conoscere ancora di più i problemi della chiesa universale?
Da cardinale, il mio servizio di pastore si è molto ampliato, non solo per intensità di impegni, ma anche per latitudine. Oltre al lavoro intenso e importantissimo nelle Congregazioni dei Vescovi e del clero, vengo infatti chiamato in varie parti d’Italia per offrire una catechesi o una meditazione o, meglio ancora per celebrare l’eucaristia con i fratelli di altre diocesi. Tutto questo non solo non mi allontana dalla gente, anzi, mi permette di avvicinare molte persone e offrire loro una parola di speranza e di conforto.

All’indomani dell’annuncio pubblico della nomina, il Papa ha scritto una lettera molto esigente ai neo cardinali raccomandando loro povertà e umiltà. Nei vostri incontri, a livello personale, ha aggiunto qualcosa che ci vuole raccontare?

Una richiesta che il Papa ha fatto ai membri della Congregazione per i Vescovi, che sento sempre dentro di me come una grandissima responsabilità, è questa: avere un grande discernimento nella proposta dei candidati. La Chiesa, infatti, ha un grande bisogno di pastori che stiano in mezzo al loro gregge con amore e totale dedizione. Il Papa ci chiede di dare una testimonianza di libertà nei confronti del mondo. Lo stile di povertà e di umiltà si addice ad ogni cristiano. Non solo per un motivo di convenienza, ma perché esso fu lo stile di Gesù che si accostò ad ogni uomo, anche il più misero, rivelando che la vera ricchezza non sta nei beni posseduti, ma nella dignità di essere figli di Dio.

La gente commenta che sentire parlare il Papa è un po’ come leggere il vangelo: ha avuto anche lei questa impressione negli incontri con lui, che sappiamo frequenti?
Le gente è affascinata dalle parole illuminanti e toccanti di questo Papa, che si esprime in modo semplice, sì, ma denso di dottrina. È una sapiente semplicità nello stile di San Francesco. Negli incontri con lui ho sperimentato più volte questa capacità di arrivare con semplicità al cuore dei problemi. Ho toccato con mano un’umanità autentica per nulla incline al sentimentalismo. L’umanità di chi, da vescovo, ha vissuto veramente nelle periferie, tra le baracche delle Villas Miserias, sperimentando concretamente la miseria degli ultimi della terra.

Siamo in una grave crisi. A questo proposito, lei recentemente ha detto − questo il senso − che piuttosto che licenziare è meglio avere tutti uno stipendio un po’ più basso. Come è stata accolta in pratica questa sua proposta?
Sì, fu un’affermazione fatta il primo maggio scorso, in occasione della visita pastorale ad una parrocchia della periferia di Perugia. Lì per lì questo invito, benché ripreso dalla stampa, sembrò non aver avuto alcun effetto. Oggi invece ho saputo che nello stabilimento della Nestlé-Perugina gli 870 operai hanno rinunciato ad una parte del loro stipendio perché nessuno di essi venga licenziato. Così la solidarietà diventa una cosa concreta e, speriamo, contagiosa…

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