Ogni tanto la notizia è quella delle rivoluzioni piccole, senza sangue ma con tanta vita dentro. Quando succede sono notizie da prima pagina. Così Sacchi, il primo agosto, su Repubblica parla dello stress che gli dava il suo lavoro e di come, non essendo stato un buon padre, ha deciso di essere un buon nonno. È una storia personale che valeva la pena leggere arrivando fino in fondo. Quanti di noi stanno andando in vacanza dicendo di essere stressati ma senza guardare lo stress negli occhi? Perché lo stress si maschera da impegno. Lo stress incarta i nostri successi e ce li consegna. Lo stress si nasconde nella testa e da lì lavora e riempie, ingolfa cuore e anima e mattine e pomeriggi. Di ventiquattro ore ti fa credere di averne quarantotto. Lo stress riempie gli occhi di mamme e mogli e figli di ammirazione e orgoglio. Perché fa attivi sempre, vincenti spesso. Il successo si nutre di successo. I soldi di soldi. Il potere di potere. Terreno scivoloso. Si pensa di salire e invece si scende e pure veloce.
Perché poi ti passa accanto la tua vita e quella bella ragazza è tua figlia e, sì, è proprio cresciuta in fretta. È già mamma e se non ti fermi ti passa sotto il naso pure la nipote. Solo che io non so se saprei fermarmi davanti “alla proposta di un club importante”. Io lo saprei fermare il mio successo pubblico per il successo privato di un pomeriggio al parco con la nipotina? Saprei? Mi interesserebbe? O vorrei riempirmi di coppe ancora e ancora, e chiamare il logorio, lo stress, il workaholic, “compagno normale di chi lavora davvero”, “impegno”, e vivere con lui invece che con i miei? Non lo so. Ha ragione Sacchi. Il tarlo lavora nella testa e ci vuole il cuore allenato per batterlo, per scacciarlo e per vincere. Chi la fa facile a parlare di ritirarsi, vuol dire che non ha mai avuto un successo, neanche piccolo. Di questa intervista mi piace lo sguardo di Sacchi sulla sua vita perché per andare oltre al tarlo nella testa, bisogna sì averci la testa, ma anche la testa collegata ad un cuore, anzi a due. Il tuo e quello di chi ti ama. E non parlare solo, ma ascoltarsi e guardare sé stessi e la propria vita. Nella vita ce la fa chi dice “non ce la faccio”, e riuscirci è proprio difficile, ammettiamolo. Sacchi parla di vittorie, di una genialità che all’inizio veniva scambiata per pazzia, di soddisfazioni.
E non puoi dire che banalizza quando parla di ritirarsi, lui che ha vinto tutto e che ha avuto tutto. Capisci che fermarsi, nella vita, non è una cosa che si fa da fermi, in silenzio: fermarsi, nella vita, non è stare zitti. È dire. Dire. Dire no. No al prossimo contratto d’oro. No al prossimo club importante. No alla vita di successo. E io – noi – siamo abituati a dire no alle cose brutte e non alle cose belle. Come si fa a dire no, basta, fermate il carrozzone che voglio scendere? Si fa come Sacchi. Si sale sul “tempo perduto”, così lo chiama. Ma non è un’operazione malinconica: parla della nipotina, parla della sua vita. Mi piace quest’intervista perché alla fine non dice: ho trovato il paradiso, prima era tutto sbagliato, adesso ho visto la luce. No. Dice che c’è da perdere ma c’è anche da trovare e che a volte devi svuotarti le tasche per essere ricco di nuovo.
“Da una parte sei più ricco, dall’altra più povero”. Riempito lo scaffale di coppe, devi stare attento che non sei rimasto solo in casa. Mi piace che Arrigo dice che perfezionista era e perfezionista rimane: ma dallo spogliatoio del Milan al parco con la nipotina. Ha cambiato tutto per rimanere sé stesso. Magari anche con i suoi difetti da perfezionista, ma vivo di vita. A Milano Marittima ha portato la nipotina a vedere gli animali e sono stati rincorsi dai tacchini. Prima rincorso da Berlusconi, adesso dai tacchini. Fa ridere? Sì, ed è bello. Perché gli stressati non ridono mai.