Mentre in Senato si discutono da mesi i diversi ddl che riguardano le coppie di fatto e in Consiglio dei ministri si affronta la riforma della giustizia, con la piena consapevolezza della complessità dei problemi in questione, il Tribunale di Roma decide, per la prima volta in Italia, di dare a una bambina due madri, sulla base di un “matrimonio” contratto all’estero dalle due donne. Con una spigliatezza che sorprende chi conosce la delicatezza del tema e con la disinvoltura a cui la magistratura cerca di abituarci, si è contemporaneamente bypassato il potere legislativo del Parlamento e la stessa Costituzione democratica.
Nella riforma della magistratura, parte integrante del decreto giustizia, vorremmo che emergesse con chiarezza come non sia più tollerabile l’atteggiamento profondamente ideologico di quanti ritengono che l’articolo 101 della Costituzione non li riguardi più: la loro responsabilità non è garantire che la legge venga applicata, ma fare la legge, sostituendosi al Parlamento e anticipandone gli orientamenti fino a forzarne le decisioni. Dipendesse da alcuni di loro non solo andrebbe fortemente ridimensionato il Senato ma si potrebbe fare a meno della stessa Camera dei deputati, stralciando in via definitiva l’articolo 70 della nostra Carta costituzionale, che fino a prova contraria assegna il potere legislativo a Camera e Senato. La stessa Carta costituzionale all’articolo 29 prevede, almeno finora!, che il matrimonio avvenga fra un uomo e una donna.
E se con la sentenza di oggi hanno stabilito che una bambina può avere due madri, sulla base di un “matrimonio” contratto all’estero, la prossima volta quando stabiliranno che un figlio può avere due padri, avranno contestualmente riconosciuto anche la pratica dell’utero in affitto. E nulla vale che si ricordi come questo sia uno dei punti esclusi dalla legge 40 e oggi al centro del dibattito sulla fecondazione eterologa, a tal punto da richiedere una nuova legge per fare chiarezza in un campo delicatissimo come quello della procreazione umana. Ma neppure questo fatto ha suscitato un qualche interesse nei magistrati del Tribunale di Roma. Non il rispetto delle leggi vigenti, non il lavoro del Parlamento, non l’impegno del Governo, solo una radicale autoreferenzialità che indice a credere che ogni desiderio possa trasformarsi in legge a colpi di sentenze.
Ed è proprio questa la magistratura che non vogliamo, perché invece di essere garante del diritto, si mostra totalmente permeabile all’arbitrio del desiderio individuale, ignorando ad esempio che la maggioranza del Paese è contrario alle adozioni omosessuali, e proprio questo è uno dei nodi del dibattito sulle unioni di fatto al Senato.
Sono cinque i disegni di legge sul riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto in discussione al Senato , da quello targato Pd dei senatori Manconi e Corsini, ai due di Forza Italia, rispettivamente a prima firma Mussolini e Alberti Casellati; c’è poi quello di SEL a prima firma Petraglia e perfino quello di Carlo Giovanardi, ma nessuno di loro prevede l’adozione e coerentemente anche il testo unificato proposto dalla Cirinnà non lo prevede. Ma questo non ha scalfito i magistrati del Tribunale di Roma, anzi forse hanno pensato che in questo modo avrebbero potuto influire meglio sul futuro disegno di legge, ignorando che lo stesso premier ha affermato che “il ddl Cirinnà sarà superato perché anche in questo campo vedremo una proposta ad hoc del governo, pronto a prendere una sua iniziativa”. Ma nemmeno Matteo Renzi ha mai parlato di adozioni per le coppie omosessuali.
La Ratio della sentenza e le sue forzature interpretative − Il ricorso è stato accolto sulla base dell’articolo 44 della legge sull’adozione del 4 maggio 1983, n. 184, modificata dalla legge 149 del 2001, che contempla l’adozione in casi particolari, ossia nel superiore e preminente interesse del minore a mantenere anche formalmente con l’adulto, in questo caso genitore “sociale”, quel rapporto affettivo e di convivenza che si è consolidato nel tempo, a maggior ragione se ciò è avvenuto nell’ambito di un nucleo familiare. La norma non precisa se si tratta di coppie conviventi eterosessuali o omosessuali e non fa alcun riferimento all’orientamento sessuale dei genitori. Ma non è certamente casuale se per una lunga e consolidata tradizione ciò sia sempre avvenuto in coppie eterosessuali, con una interpretazione estensiva di quanto dice la stessa Costituzione.
Considerare questa sentenza un’estensione della norma contenuta nella legge sull’adozione appare decisamente come una forzatura. Non è vero che non si tratti di un diritto ex novo, perché non si crea una situazione prima inesistente, dal momento che il minore già conviveva con le due mamme. La nuova copertura giuridica che si offre alla precedente situazione di convivenza a tre − due mamme e un figlio − ha quel carattere innovativo, subito riconosciuto sia dall’Associazione Arcobaleno che si è subito dichiarata pienamente soddisfatta, che da quanti sono intervenuti nel dibattito per esprimere dissenso.
E la stessa dichiarazione dell’avvocato che ha seguito la coppia in questo iter riflette la piena consapevolezza di come ci si trovi davanti ad una situazione nuova, non ancora prevista dalla legge, in cui ad una coppia di due donne vengono riconosciuti nuovi diritti e tutela “di quei cambiamenti sociali e di costume che il legislatore ancora fatica a considerare, nonostante le sempre più diffuse e pressanti rivendicazioni dei moltissimi soggetti interessati“. Ciò che sorprende in questi casi è come non si sollevi neppure un dubbio sul fatto che il supremo interesse del minore possa essere costituito dal fatto di avere una madre e un padre, così come ha previsto la natura, ma anche così come ha ampiamente confermato una vasta letteratura che affronta il tema dei ruoli familiari, distinguendo tra quello paterno e quello materno, segnalando cosa accade quando uno dei due è assente, valorizzando la cultura delle differenze, a cominciare da quel “diversity management” a cui tanto si fa riferimento come potente fattore di arricchimento nell’esperienza personale e sociale.
Sulla complessità dei modelli familiari attuali, specialmente di quelli allargati, sulla fragilità dei legami affettivi, sulla crisi stessa della famiglia, sui fenomeni di violenza che fin troppo spesso vengono alla luce, si avanzano teorie interpretative che cercano di risalire alla radice dei problemi: con coraggio, lucidamente e senza sconti per una società che appare fin troppo spesso senza padre e senza madre. Ma gli eventuali problemi che potrebbe presentare un bambino cresciuto con due madri e senza padre, o viceversa con due padri e senza madre, sono un tabù. Anzi non è infrequente che si incorra nell’accusa di omofobia se solo si solleva il problema… Ed è proprio la difesa ad oltranza di un modello che esula dall’esperienza fatta per secoli e lo converte nel prototipo della famiglia felice che suscita ulteriori perplessità.
Stepchild Adoption: l’esperienza inglese − In Inghilterra per descrivere questa situazione si parla di Stepchild Adoption, letteralmente “adozione del figliastro” ed è stato proprio questo istituto anglosassone a fare da punto di riferimento per il tribunale di Roma. Ma se le parole hanno un peso, allora quell’espressione “figliastro” deve pur significare un elemento di tensione e di preoccupazione, che andrebbe trattato con ben maggiore prudenza sul piano affettivo, su quello giuridico e sul piano psico-pedagogico. Oltre che nel Regno Unito, la stepchild adoption è consentita anche in quei Paesi europei in cui le coppie omosessuali possono adottare bambini ed è stata successivamente estesa all’adozione dei figli naturali e adottivi del partner. Non sono poche infatti le coppie omosessuali in cui uno dei due partner è stato sposato o comunque ha avuto dei figli dalla compagna o dal compagno con cui conviveva. Ma sono figli che hanno una madre o un padre omosessuali, ma hanno anche un altro genitore che non solo li ha generati ma che si è spesso preso cura di lui o di lei nei primi anni di vita e magari continua a farlo, o continuerebbe a farlo ben volentieri. Sono bambini che hanno nonni, zii e cugini, forse anche dei fratelli ben felici di costituire insieme un nucleo familiare capace di attenuare l’ansia di quel genitore che si preoccupa di ciò che potrebbe capitare al figlio se per caso lui venisse meno. È la sindrome del “Dopo di noi” che colpisce molti genitori che hanno paura del futuro del figlio, nel momento in cui loro non potessero più farsene carico. Ma per questo non c’è bisogno di una stepchild adoption, che già nel termine non lascia intravvedere un futuro del tutto ottimistico…
In ogni caso certa magistratura dovrebbe avere un maggiore rispetto per la legge attuale e per la legge in studio in Parlamento: non ci serve creatività, ma certezza del diritto!