Un week end nelle valli Bergamasche, a Selvino, passando per San Pellegrino e dintorni. Non m’ero mai accorto che il tempo in montagna cambia velocemente: prima le nuvole, poi la pioggia, poi il sole. E ancora le nuvole che veleggiano come una nebbia d’autunno anche a bassa quota. Venerdì, quando siamo arrivati, siamo corsi alla Ruota (via Gennaro Sora, 3 – tel. 035765192), che è una delle pizzerie della mia predilezione. Fa una pizza soffice, leggera, alla teglia, farcita con abbondanza di buoni prodotti.



Che soddisfazione con la birra Via Priula di San Pellegrino Terme, davvero ottima. Il giorno dopo a San Pellegrino c’era la festa degli uomini, la stessa che si sarebbe celebrata a Refrontolo, al Molino della Croda, dov’ero stato due mesi fa con gli amici di Treviso a bere un sorso di passito di Marzemino. E avevo conosciuto quelli della Pro Loco, carichi di entusiasmo, che tenevano vivo quell’angolo di paradiso dove sabato notte s’è scatenata una tragedia. A San Pellegrino il Grand Hotel sembra la casa dei fantasmi e fa da pendant, oltre il torrente, col Casinò, che presto tornerà a vita nuova con una Spa che farà rivivere le terme.



Il bel palazzo del Casinò è dietro a una vera istituzione di San Pellegrino: la pasticceria Bigio, che fa dei biscottini soavi, buonissimi, ma anche la torta polenta e osei da tagliare alla domenica (nella foto) Sono stato nel ristorante del Bigio (via Papa Giovanni XXIII, 60 – tel. 034521058), fascinoso, accogliente, con un cuoco, Pierluigi Milesi, bravissimo. Ecco un locale che ha fatto progressi, almeno dalla mia ultima visita di alcuni anni fa. L’orata al sale era magnifica, ma anche i bignè di taleggio su passata di carciofi e gli gnocchi di zucca e patate con calamaretti e rosmarino o l’uovo in camicia con fonduta e tartufo nero. Ottimo il loro tiramisù coi biscotti del Bigio.



Che gran lavoratori questa famiglia. La ragazza che ci serviva (carta dei vini perfetta), s’è congedata verso le 21,30 chiedendo scusa: “Vi saluto, devo andare ad accudire i miei due gemelli”. Era la moglie del cuoco, che si ricordava ancora quando ero stato da lui la prima volta, cosa avevo bevuto e mangiato. Che bello quando scopri quanto la voglia di lavorare significhi anche risultato, ossia una cucina buona intrigante, per niente seduta. E questo anche se il turismo non è più quello di una volta. Domenica mattina avrei dovuto andare a Oltressenda Alta, perché un amico, Giacomo Perletti, che ha iniziato un’avventura con le capre, in località Contrada Bricconi, insieme con altri ha aperto un punto vendita dei loro prodotti: Bottega degli antichi Sapori della Valzurio (via Provinciale, 20 – fraz. Nasolino – tel. 3494285648). Ma pioveva forte e non ce l’ho fatta a partire, ci tornerò. 

Certo, perché sono queste le cose che valgono. Intanto andateci voi se potete. Dopo il pranzo, il sciur Brambilla che è venuto a trovarci a casa a Selvino, ci ha raccontato la sua storia: rappresentante di ottone negli Anni Cinquanta, quando l’industria italiana era fiorente. Aveva iniziato a lavorare a 15 anni.

Che storia affascinante: attraverso quest’uomo ho rivisto l’Italia degli anni in cui non ero cosciente. Io sono del 1961, e in quegli anni cresceva il nerbo della nostra piccola industria, che ora fatica a stare sul mercato. E forse dovrebbero fare come il mio amico dei Bricconi: mettersi insieme, studiare come combattere la battaglia del genio italiano che non vuole annegare. Quegli anni, di certo, li ha visti Stefano Bonilli, il fondatore del Gambero Rosso, che domenica sera, quando sono tornato a casa, andava alla casa del Padre. Un infarto senza appello. Aveva 67 anni. E non avrei detto: solo ora scopri l’età, perché un collega ti sembra quasi un coetaneo e vent’anni fa, di enogastronomi in erba (come me) e affermati (come lui), si era una decina a dir tanto. Pochi giorni prima avevamo duellato su twetter, parlando di Expo. E come sempre non eravamo d’accordo. Però quanto è stimolante la discussione, vero antidoto all’indifferenza. Ma così non vale: andarsene ai primi di agosto, che scherzo è compagno Bonilli!

E quando uno se ne va, uno che è stato avverso alla tua attività, quindi avversario (nemico no, i nemici non sono intelligenti, sono solo stupidi, e Stefano era molto intelligente), ti coglie un senso di simpatia umana, come il bicchiere mezzo pieno, dove nel pieno c’è la capacità che aveva di dialogare sui social media, di riflettere, di rilanciare, di provocare. Insomma di fare il giornalista. Io ti ricorderò. E pregherò anche per te, caro Stefano.

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