A distanza di pochi giorni del clamoroso annuncio con cui Biagio Conte a Palermo anticipava la decisione di gettare la spugna è giunta la conferma. All’alba ha lasciato la sede della “Missione speranza e carità” e portando sulle spalle una croce di legno di un metro e ottanta si è diretto sulle montagne per ritirarsi in preghiera. “Mi metterò in ascolto del buon Dio, sento nel mio cuore che lui mi dirà come mi dovrò comportare nei prossimi giorni” ha detto prima di salutare i collaboratori e gli oltre 1.000 poveri che assiste da più di 25 anni.
Biagio Conte non è certo nuovo a forme eclatanti di protesta. Ma questa volta l’ha detto e l’ha fatto. Ha scelto una forma diversa dalle altre per esprimere lo sconforto che vive ormai da troppo tempo di fronte al silenzio assordate delle istituzioni, le stesse che per anni gli hanno chiesto di portare avanti un’opera che per le dimensioni e la qualità dei risultati è stata realizzata solo grazie alla carità cristiana e alla solidarietà umana.
Biagio è figlio della borghesia palermitana, ha rinunciato ad una vita comoda e agiata, scontrandosi inizialmente anche con la famiglia, per aver chiara innanzitutto la sua vocazione, cui è giunto dopo anni di duro cammino, anche fisico. Agli inizi degli anni 90 si recò a piedi dalla Sicilia fino ad Assisi per chiedere lumi al Poverello di Assisi sul suo futuro. Al suo ritorno questa strada si materializzò inizialmente attraverso un giro notturno che con un camper faceva per raccogliere i tanti clochard che stazionavano nelle vie di Palermo. Dopo pochi anni Palermo fu l’unica città d’Italia ad aver trovato una soluzione efficace a questo problema. Le sue battaglie più dure furono quelle per ottenere locali in cui ospitare le tante persone che si rivolgevano a lui o che le istituzioni in vario modo gli affidavano. Il boom delle emigrazioni dal Nord Africa fu un evento di grandi dimensioni con cui seppe confrontarsi grazie alla grande disponibilità dei ultimi tre arcivescovi di Palermo: Pappalardo, De Giorgi e Romeo e dei tanti privati cittadini che lo hanno sostenuto in svariati modi. Oggi ha tre strutture di accoglienza, di cui una interamente femminile, dove risiedono stranieri, ma anche tanti palermitani che vivono nell’indigenza, oltre che ragazze madri e giovani senza famiglia.
Questa triste vicenda, dai molteplici e complessi risvolti, forse potrà contribuire ad affrontare con maggior chiarezza un problema di rilievo – anche nazionale – che riguarda il rapporto tra le istituzioni pubbliche e le opere di solidarietà sociale che i cittadini mettono in piedi e sostengono, spesso con le loro uniche forze, e comunque con una dialettica con le istituzioni sempre difficile e dai contorni non sempre ben definiti.
La storia della Missione Speranza è carità è emblematica da questo punto di vista.
Negli anni scorsi ha goduto del sostegno anche di Regione, Provincia e Comune. Ma ora proprio queste, dopo che per anni hanno ignorato le forme non sempre a norma di legge con cui hanno potuto in poco tempo dare risposte esaurienti a enormi bisogni, gli hanno voltato le spalle, anzi gli chiedono soldi invece che dargliene.
Il comunicato di alcuni gironi fa inizia così: “Sono stanco di lottare contro i mulini a vento, l’eccessiva burocrazia e l’indifferenza che mi opprimono e mi schiacciano quotidianamente, siamo ormai al limite delle forze fisiche e mentali”. Chi lo conosce bene ha fatto fatica a riconoscerlo in queste parole. Indomito lottatore per piegare proprio le istituzione ai bisogni dei più poveri ha dovuto ammette che sono proprio le istituzioni i suoi più duri nemici. E in effetti gli esempi in questi anni si sono moltiplicati. Innanzitutto sono venuti meno da due anni i finanziamenti che Regione e Comune con regolarità erogavano. Nel 2010 il Comune di Palermo inviò alla Missione una cartella della Tarsu di oltre 60.000 euro, chiedendo anche gli arretrati per un locale che tutti sanno occupava abusivamente da tempo. Una banca gli ha finanziato un impianto foto voltaico, ma non può essere allacciato alla rete perché la Missione non è titolare di quell’immobile. L’ultimo sfogo è per quanto accaduto a fine giugno: il furto del camper con cui venivano accompagnati in ospedale i malati residenti nelle tre strutture. Nessuno lo ha aiutato a ritrovarlo e nessuno gli ha dato una mano per ricomprarlo. E come se non bastasse dopo la comunicazione della sua decisione gli è stata notificata una cartella esattoriale di 84.447,57 euro.
Le tre strutture ospitano oltre 1.000 persone, hanno un ambulatorio medico ove si alternano decine di volontari specializzati, ha alcuni laboratori per le necessità interne (falegnameria, meccanica, tipografia, ecc), è meta, soprattutto durante l’estate, di centinaia di studenti che vi svolgono campi di lavoro, è sostenuta stabilmente da associazioni solidaristiche di settore (Banco Alimentare, Caritas, Banco farmaceutico, Parrocchie, ecc.).
Fratel Biagio ha scelto il 4 settembre, festa di santa Rosalia, per comunicare la sua decisione. Su Monte Pellegrino si è unito alle migliaia di fedeli raccolti in preghiera. Ha ricevuto tanta solidarietà umana che si è subito concretizzata nella raccolta di alcune migliaia di euro; le istituzioni – rappresentate dal Sindaco – gli hanno promesso l’apertura di un tavolo in Prefettura per affrontare l’intera questione. Nel frattempo ha continuato ad erogare pasti, a distribuire medicine, a consegnare abiti, senza dover esibire bolle di accompagnamento, fatture pagate e versamenti fiscali. In questo le istituzioni sono molto accondiscendenti!
Ma per avviare un tavolo di confronto, si sa, ci vuole tempo: convocazione, comunicazioni, ricevute di comunicazioni e, soprattutto, la disponibilità degli uomini delle istituzioni. Ma la burocrazia ha i suoi tempi, non come la fame dei suoi assistiti che due volte al giorno deve essere tacitata!
Questa storia viene da lontano, come tante altre simili, che si ripetono periodicamente nel nostro paese: di fronte dalla concretezza e all’urgenza dei bisogni, le istituzioni mostrano tutta la loro difficoltà lasciando alla generosità degli italiani il compito di dare una risposta che spesso è l’unica per efficacia e prontezza.
Anche nel caso degli immigrati che sbarcano quotidianamente sulle coste italiane le istituzioni devono fare appello alla solidarietà e generosità degli italiani. Per aprire i locali di una chiesa o di un oratorio basta una telefonata anche in piena notte. Per aprire palestre, scuole e locali pubblici ci vuole la carta bollata. Nessuno riesce a far aprire le caserme, notoriamente poco abitate da quando non abbiamo militari di leva. Ma dopo l’accoglienza bisogna sfamarli e vestirli. Ed ecco le telefonate alle parrocchie, gli appelli via sms o facebook e giungono i vestiti con la giusta taglia per i ragazzi, la pastina per i più piccoli ed un po’ di umana solidarietà. Ciò non toglie che rimangano per settimane nei centri di accoglienza in attesa …. di poter riprendere la strada che li porterà lì dove vogliono andare, nel Nord Europa.
Biagio Conte ha toccato un nervo scoperto che in molti non hanno interesse a vedere. Chissà se questo suo ennesimo gesto di protesta eclatante servirà a prendere contezza di un problema così delicato ed urgente.
Nel frattempo: la Missione continua ad erogare pasti e assistere indigenti; Biagio prega perché ancora una volta il Signore lo illumini; gli uomini delle istituzioni discutono su come affrontare il problema.