Delitti Garlasco-Brembate. Due ragazze uccise, una era ancora una bambina. Sono passati anni, e non ci sono colpevoli. O meglio, c’è un presunto colpevole per la storia più recente, l’omicidio di Yara Gambirasio. E c’è un presunto innocente, l’ex fidanzato di Chiara Poggi. Il primo è in carcere, in isolamento, da tre mesi. Il secondo è fuori, da tempo, anche se è stato richiesto un supplemento di indagini. 



Per entrambi, la parola chiave è dna. Tracce del carpentiere Bossetti, lo sappiamo fin troppo, sono state trovate sugli indumenti tra i resti della dolcissima, sfortunata ginnasta. Di più, pare che l’imputato abbia seminato di indizi la strada per la sua condanna. Che tuttavia non è affatto semplice. Il dna lo inchioda? Non basta, perché bisognerebbe ripetere l’esame, eppure il materiale era così scarso da non consentire ulteriori prove attendibili. Dopo tre mesi dalle cantate vittorie, c’è un uomo che continua a proclamarsi innocente, benché “la scienza” quasi in modo inoppugnabile garantisce che sia un mostro. È su quel “quasi” che dobbiamo concentrare l’attenzione, per essere garantisti davvero. 



Tracce dell’assassino anche sotto le unghie della giovane studentessa Chiara. Alcuni marcatori di dna, troppo pochi, saltano fuori adesso, dopo sette anni e qualcosa raccontano: che potrebbero essere di chiunque. Anche di Alberto Stasi, che continua quindi ad essere “quasi” inoppugnabilmente innocente, come dichiara da sempre. Ed è ancora quel “quasi” a muovere qualche considerazione.

La prima, che pur controvoglia si accoda a un refrain già ascoltato: non ci sono più professionisti in grado di fare un’indagine come si deve, senza dimenticare elementi fondanti, senza inquinare le prove, senza perder tempo con le analisi e le carte bollate. E poi impazziamo tutti per Montalbano. Lui scatta come un felino, ha il fiuto di un segugio, e un branco di volpi tra medici e agenti in grado di inchiodare anche i lupi mannari. E senza dna, basta il rozzo dottore dell’obitorio e l’osservazione attenta, senza trascurare nessuna pista, senza aspettare le lungaggini procedurali che talvolta coprono inefficienza e scarso impegno. 



Secondo, le magnificate certezze della scienza: perfino quando si tratta di dna, ovvero di codici unici e irripetibili e identitari, non falsificabili, non riproducibili, “esatti”, perfino in questo caso la scienza non risponde a tutti i dubbi, non risolve le inquietanti domande. Insomma, la ragione dell’uomo non la accetta come infallibile, anche quando “razionalmente” dovrebbe dire di sì. Razionale non significa sempre del tutto ragionevole. E varrebbe la pena rifletterci, quando affidiamo invece alla scienza compiti ardui, come riprodurre la vita, o scegliere quella che vale la pena vivere, quella da salvare o da buttar via.

Terzo pensiero, per l’ennesima ombra che porta a un brivido, e all’ennesima perdita di fiducia. Se proprio non è il pazzo che se ne va in giro a mozzar teste con la mannaia, non riusciamo più a incastrare sicuramente gli assassini, e ad assicurarli alla giustizia. Guai a incolparne le forze dell’ordine, che svolgono la loro professione sottostimata e sottopagata con abnegazione fin eroica, e non è piaggeria. Eppure c’è qualcosa che non torna, nel sistema giustizia, che temiamo non si risolverà tagliando di quindici giorni le ferie ai magistrati. E senza giustizia aumenta la fiducia dei delinquenti, e l’insicurezza, la paura della gente, cui è già chiesto tanto. Non è un buon segno.