Cento anni sono passati dall’inizio della prima guerra mondiale e ancora si sente risuonare il giudizio di Benedetto XV che ha attraversato il corso della storia del Novecento, la certezza che quella in corso fosse una “inutile strage” e per cui il papa ai belligeranti aveva chiesto di fermare immediatamente quella guerra orrenda che poi di fatto ha stroncato la vita di tanti giovani. Una inutile strage, questa è stata la prima guerra mondiale e cento anni dopo un altro papa, papa Francesco, si è recato in uno dei mausolei più significativi della memoria, il Sacrario di Redipuglia, segno struggente di tanti giovani innocenti morti in trincea. 



Cento anni dopo che un papa aveva parlato di inutile strage, oggi un altro papa ha gridato che “la guerra è folle”, che “il suo piano di sviluppo è la distruzione; volersi sviluppare mediante la distruzione!”. Un grido senza mezzi termini, senza alcuna mediazione, senza se e senza ma, un grido che sorge da un impulso distorto, da un folle “a me che importa?”. 



Commovente l’approccio del Papa a Redipuglia: “Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia, dove i bambini giocano e gli anziani sognano… trovandomi qui, in questo luogo, vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia”. 

Da una parte vi è il sussulto pieno di meraviglia di fronte alla bellezza del paesaggio e d’un colpo lo sgomento, la guerra che distrugge la bellezza che è stata consegnata all’uomo, la guerra che nega ciò che un Altro costruisce. 



Un papa che non si perde nei ragionamenti, che non segue i percorsi della dialettica, un Papa che sa guardare la realtà fino a chiamare le cose semplicemente con il loro nome, che la guerra è una follia, e lo è perché il cuore dell’uomo è fatto per la pace. 

Con papa Francesco siamo ad una svolta sempre più chiara nel giudizio sulla guerra. Il problema oggi non è più quello del Novecento, se sia giusto o no ricorrere alle armi, il problema non è più nemmeno quello del pacifismo; con Papa Francesco siamo andati avanti e molto avanti nel percorso per costruire la pace, ed è il cuore il punto di forza di questa costruzione, il fatto che a me, uomo, importa di mio fratello. 

Oggi il Papa, facendo memoria di una strage che è durata per quattro anni, che si è perpetrata con orrore dentro i buchi delle trincee, ha voluto dire all’uomo non che è contro la guerra, ma che se ascolta il suo cuore costruisce la pace. 

Stiamo finalmente abbandonando le logiche della contrapposizione, dove si vuol stabilire chi ha ragione e chi ha torto, perché la guerra nasce dove si cercano di definire torti e ragioni, mentre scoppia la pace se si lascia entrare uno sguardo di amore all’altro. 

Qui sta la questione delle trincee, che furono costruite proprio per impedire all’uomo di guardare negli occhi colui contro cui stava sparando, perché nell’attimo in cui lo avesse fatto, non avrebbe più potuto dire all’altro “ti uccido”, ma “quello che tu cerchi è quello che io cerco, la felicità”. 

Qui, in questo tuffo del cuore, in questo sguardo di simpatia per l’altro, si vince ogni impulso distorto e si costruisce la pace: quando l’uomo guarda negli occhi l’altro. 

È disarmante la forza di questo Papa, è il coraggio di costruire la pace.

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