Don Pino Puglisi sapeva di essere in pericolo. Sapeva anche di essere finito nel mirino di Cosa nostra, ma questo non ha fermato il suo impegno sociale ed evangelico. Il nipote del parroco nato a Brancaccio, alla periferia di Palermo, ha trovato in casa un’audiocassetta: “Il testimone certe volte deve anche rischiare… io sto rischiando un po’ grosso forse, non lo so, però credo nell’amicizia”, dice con il suo tono pacato padre Puglisi, ucciso dalla mafia esattamente ventuno anni fa, il 15 settembre del 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno. La cassetta è stata trovata dentro una scatola contenente appunti e ricordi del Beato, riportata nei giorni scorsi presso l’abitazione di piazza Anita Garibaldi, zona est di Palermo. Ma don Puglisi dice altro, forse l’audio è la registrazione di un suo discorso in cui parla di Brancaccio, quel quartiere dove per anni ha tolto dalla strada ragazzi e bambini che, altrimenti, sarebbero finiti nelle mani della mafia. “L’ambiente di Brancaccio è molto disomogeneo, ambiente di mafia – dice – però quello è forse il male minore, c’è tanta povertà, c’è tanta indifferenza. Ci sono tanti bambini che vivono in mezzo alla strada e dalla strada imparano tanto male, delinquenza, scippi, furti”. Racconta anche di un bambino che “dovrebbe fare la prima comunione a ottobre e dice alla catechista: non la posso fare, altrimenti come ci torno a casa. E perché?, chiede la catechiesta. Perché uno che fa la prima comunione può rubare più? E se io non porto niente a casa, mia madre mi picchia e mi manda fuori di nuovo”. Come rispondere a tutto questo?, si chiede don Puglisi, iniziando quindi a descrivere le sue idee, il suo impegno sul territorio e la creazione del centro Padre Nostro inaugurato il 29 gennaio del 1993. Venne ucciso neanche otto mesi dopo, davanti al portone di casa.