Meglio una legge o un decreto, servono delle linee guida o basta la legge 40 riveduta e corretta dalla sentenza della Corte costituzionale?
Se ne può discutere quanto si vuole, a favore o a torto di una qualsiasi delle ipotesi, ma il caos di questi giorni, abbondantemente rilanciato dalla stampa che esaspera le divergenze delle diverse posizioni, dice con chiarezza quanto sia inaccettabile questa nuova ondata di deregulation. Non sarà il far west di prima della legge 40, ma in un certo senso ne riproduce i toni accesi, le ipotesi contrastanti, e segna quella sottile linea di confine che separa semplici desideri e diritti civili.
Basta vedere cosa sta succedendo in Lombardia. Le competenze sulla sanità sono proprie della Regione, ma il comune di Milano non ci sta a riconoscere i confini istituzionali del proprio mandato e appellandosi al fatto che la Lombardia stia facendo una scelta oscurantista e discriminatoria lancia una minaccia dura al Pirellone. Pisapia contro Maroni, titolano i giornali, diritti civili contro principi che tutt’al più possono essere confinati nella coscienza individuale.
Il sindaco di Milano contesta la scelta del Pirellone di far pagare l’intervento, mentre il governatore replica: “Non spendo i soldi dei cittadini lombardi per una prestazione che non è considerata essenziale”. Ora in questi giorni non c’è chi non senta parlare dell’urgenza di ridurre i costi, vero e proprio imperativo categorico imposto da Renzi ai suoi ministri: la Lorenzin si è detta disposta ad accettare i tagli alla sanità purché siano selettivi e non di tipo lineare. La Spending Review impone scelte a cascata che riguardano direttamente anche gli assessori alla sanità: toccherà a loro decidere cosa e come tagliare per garantire diritti sanciti a livello costituzionale. Per Pisapia si tratta di «Una decisione oscurantista e ideologica che certo non posso condividere: da parte nostra faremo quanto è possibile, nei limiti delle nostre competenze, per aiutare chi sarà costretto a scegliere questa strada». In altri termini Giuliano Pisapia boccia la scelta del governatore Roberto Maroni sulla fecondazione eterologa, che per volere della giunta lombarda sarà interamente a carico delle coppie che ne faranno richiesta, a differenza di quanto avverrà nelle altre regioni.
Ma la mancanza di una normativa di rango superiore a quella regionale crea già in partenza un ulteriore equivoco. C’è infatti il rischio concreto del turismo sanitario inter-regionale: mentre in Lombardia i costi dell’intervento si aggirano sui 3mila euro, che saranno a carico della coppia, fuori dalla Lombardia, in Toscana, Emilia Romagna, ad esempio, le cifre non superano i 500 euro. Ma Maroni insiste: «Fino a quando il parlamento non dirà se la fecondazione eterologa rientra tra le prestazioni dei livelli essenziali di assistenza, e dispone le risorse necessarie, non spendo i soldi dei lombardi per una prestazione che non viene considerata essenziale. Preferisco utilizzare queste risorse per gli anziani, per abbassare i ticket, per dare un aiuto ai disabili».
Difficile non riconoscere le sue ragioni in una situazione drammatica come è quella attuale per gli anziani, i malati cronici e i disabili. È il loro diritto alla salute che viene messo a rischio, in molti casi a costo della vita. Il tema dell’eterologa è molto delicato, perché anche in questo caso si parla di una malattia: la sterilità, e bisogna dare una risposta alle coppie affette da questa patologia, sia sul piano clinico che sul piano della ricerca scientifica. In questo modo si potrà ottemperare alla sentenza della Corte costituzionale che ha sancito, per loro, il diritto alla genitorialità.
Il desiderio di avere un figlio merita il massimo rispetto, richiede attenzione a livello di tutta la società, non a caso anche la legge 194 parla di tutela sociale della maternità, e va incoraggiata in un Paese a crescita demografica prossima allo zero, tanto da essere stato definito il Paese delle culle vuote. Il desiderio di un figlio in coppie a cui non basta la Pma omologa e chiedono di accedere all’eterologa proprio perché hanno già compiuto un tragitto difficile e complesso, spesso doloroso e costellato di delusioni. Ma un desiderio, per quanto intenso e legittimo, non è un diritto, e per questo non può pretendere piena attuazione, anche a costo della salute di altri, che versano in condizioni oggettivamente più pesanti delle proprie. Non basta neppure una legge per trasformare un desiderio in un diritto, ma certamente una legge può regolare il desiderio e inquadrarlo in modo più ampio nel contesto sociale.
I tecnici degli assessorati regionali alla Salute di tutta Italia possono cercare un accordo su un ticket comune, ma – una volta respinta l’ipotesi del decreto – serve una legge che inserisca l’eterologa tra le prestazioni che le regioni devono obbligatoriamente inserire nei Lea. C’è un problema di etica pubblica che non solo deve distinguere attentamente tra diritti e desideri, ma deve procedere anche ad un bilanciamento dei diritti, perché non tutti hanno lo stesso peso. Sono tematiche delicate delle quali è giusto discuterne insieme in Parlamento prendendosi tutto il tempo per farlo.
Serve un regolamento da parte del ministero per recepire la direttiva Ue sull’utilizzo dei gameti in modo da non incappare in una procedura di infrazione, ma soprattutto occorre scongiurare eventuali problematiche quali il rischio di commercializzazione dei gameti, ad esempio. Serve un registro dei donatori, che preveda un limite di età sia per i donatori che per le madri ed è necessario individuare il punto di equilibrio tra il diritto all’anonimato da parte del donatore e le sue responsabilità nei confronti di chi comunque, a tutti gli effetti, resta un suo figlio, genetico o biologico, a seconda della terminologia che si preferisce. Certamente un conto è la donazione, altro è la paternità, ma questa è una donazione di sé del tutto peculiare: non dono ciò che ho, ma ciò che sono. La donazione di gameti è da sempre posta sotto una particolarissima tutela per gli effetti che ne possono derivare e che non è difficile intuire.
In altre parole occorre riflettere attentamente anche sulle sentenze della Corte costituzionale. Lascia
Perplessi, nel caso specifico, la definizione di “incoercibile” attribuito al diritto di una coppia di servirsi di un donatore esterno. Il termine “incoercibile” non implica il diritto di comprare gameti e tanto meno contempla il diritto di requisirlo nel caso non si trovasse nessuno disposto a donarlo…
È necessario confrontarsi serenamente in Parlamento su questi temi complessi e il dibattito sulla legge servirà a fare chiarezza sui diversi ruoli dei genitori genetici, dei genitori biologici e dei genitori sociali. Servirà a chiarire le ragioni che sono dietro alla pratica dell’utero in affitto anche in termini di costi, senza ridurre un tema così delicato al piano puramente tecnico-economico. La nascita di un figlio ha implicazioni che si estendono a tutto l’arco della sua vita e per questo meritano una ponderazione che non può essere bruciata solo sul piano dell’intensità del desiderio.