Repubblica di ieri ha scritto un pezzo intervistando lo scrittore Erri De Luca attorno al processo che deve affrontare per aver manifestato nelle azioni di sabotaggio dei No Tav in Val di Susa. Il giornalista dice che non oseranno condannarlo, lo scrittore invece è certo di essere condannato. La sintesi: “è come se avessi vinto un premio letterario, sarò famoso”.
Lo scrittore ha 60 titoli pubblicati, vende molto, non ha bisogno di diventare famoso. Direi invece che intende davvero sostenere questa ribellione che lui considera giusta. Ma tanto giusta che è lecito persino fare le azioni di sabotaggio contro i cantieri e i macchinari. Sarebbe anche lecito ferire poliziotti, e agire fino a tratti di lotta armata.
Il suo passato con Lotta continua sembrava redento nella sua successiva frequentazione di ambienti cattolici, ha scritto per Avvenire, sembrava davvero portatore di idee moderate. Ma poi è tornato all’estrema sinistra, in particolare nella galassia dei movimenti che dicono No a tutte le linee di sviluppo economico e sociale praticate da chi governa, che sia di destra o di sinistra. È il destino degli scrittori alla moda, bisogna per forza far parte dei circoli élitari che concepiscono le grandi idee di opposizione.
De Luca dice che si oppone alla linea ferroviaria veloce perché si scava in una montagna che ha molte zone fatte di amianto. Forse non sa che l’amianto è presente in gran parte delle formazioni rocciose in Italia. Migliaia di gallerie sono state scavate, senza nessun allarme amianto. E allora cosa c’è nel pensiero di questa lotta?
Si tratta di protezione della valle di montagna da invadenze estranee. Si tratta di negare che sia necessario rendere più veloce il trasporto merci in Europa, sostenendo che è ora di valorizzare i prodotti locali e di pensare al consumo a chilometri zero. Insomma una specie di opposizione al capitalismo per un ritorno alla vita semplice e legata al proprio territorio. È una posizione romantica, che però vive contro un nemico potente: grandi forze che vogliono la modernizzazione e lo sviluppo. Questa sensazione del nemico potente giustifica una lotta di minoranza fatta con tutti i mezzi possibili perché la minoranza imponga il suo volere.
Qui sta il punto. Noi, quando pensiamo a una lotta da fare, pensiamo che si debba conquistare la maggioranza, cioè accettiamo le condizioni poste dalla democrazia.
Ma ora, di fronte alla globalizzazione che ha reso tutto il mondo interno alle forme della competizione e dello sviluppo, le lotte delle minoranze sono diventate di moda, rabbiose e violente. Non a caso i teorici di Grillo giustificano il terrorismo come risposta all’imperialismo americano. E non a caso i No Tav praticano forme di lotta che rasentano il terrorismo. L’idea comunque è che le ragioni di una minoranza, se sono ragioni di alto pensiero, devono essere imposte, perché la maggioranza non potrebbe mai capire.
Io chiedo a Erri De Luca di pensare tenendo conto della totalità dei fattori. Stiamo vivendo un tempo nel quale le parzialità catturano molti, ognuno con la sua ragione, come quelli che hanno fatto sparire 10mila bagagli in due giorni all’aeroporto di Fiumicino, con tutte le conseguenze umane per quelle 10mila persone costrette a vivere per giorni senza i propri beni.
Ora stiamo parlando della linea di treni veloci per attraversare l’Europa. È un opera considerata strategica dei governi del continente. Quale idea di sviluppo si contrappone a questa? Lo scrittore ha tutti i mezzi di comunicazione necessari per diffondere le proprie ragioni, ma egli sa che non sono ragioni onnicomprensive, sono solo ragioni particolari, capaci di dire No, ma non capaci di dire per che cosa.
La vicenda processuale si incentra sul fatto che Erri De Luca ha lasciato trapelare di aver usato le cesoie per tagliare le reti dei cantieri, ora lo dice come se fosse stata una piccola bugia detta per rimanere fra gli accusati. Che si preparano ad un grande vittimismo. Ma resta il fatto che le forme di lotta sono diventate violente.
Rabbia, conflitto, lotta, opposizione dura, movimenti alternativi alla società democratica, che vivono di ricerca dell’egemonia delle proprie visioni di rottura. Ma forse non ci siamo ancora accorti che conflitti e rotture sono le forme di dominio nella modernità. Tutti sono in conflitto con tutti. Mentre abbiamo tanto bisogno del fare insieme, dell’essere alla ricerca delle ragioni dell’altro, per comporre un paese che cammina e si sa trasformare. Possono degli intellettuali sposare una proposta di universalità umanistica, di composizione dei popoli? Per favore, provateci!