Il 20 settembre la Chiesa cattolica celebrare i Santi martiri coreani, un evento dal sapore molto intenso proprio per le caratteristiche del tutto particolari con cui la fede cristiana si è affermata nel lontano paese asiatico agli inizi del 1600. Va infatti ricordato che la Chiesa coreana è forse l’unico esempio al mondo che vede il ruolo fondamentale dei laici nella sua costruzione. La diffusione del cristianesimo fu reso possibile in particolare dai contatti stabiliti da delegazioni coreane con la Cina, di carattere culturale all’inizio e poi allargati ad altri settori, tra cui appunto la vita spirituale. In questo contesto, le delegazioni che ogni anno si recavano in visita in Cina, stabilirono ben presto un ponte con la fede cattolica, soprattutto grazie ad un libro di padre Matteo Ricci, “La vera dottrina di Dio”, sul quale un grande intellettuale dell’epoca, Lee Byeok, nella seconda metà del diciottesimo secolo, decise di ispirare la fondazione di una prima comunità che si rivelò ben presto estremamente attiva. Fu lo stesso Lee Byeok, intorno al 1780 a pregare Lee-sunghoon, un suo conoscente che stava per recarsi in Cina nell’ambito di una di queste delegazioni, di sottoporsi a battesimo e di portare scritti e libri in grado di favorire la diffusione della religione cattolica in Corea. Al suo ritorno, avvenuto quattro anni più tardi, Lee.sunghoon, diventato nel frattempo Pietro, riuscì a dare grande impulso alla sempre più larga comunità che andava formandosi in Corea, tanto da chiedere al vescovo di Pechino di inviare sacerdoti in grado di rendere ancora più solide le sue fondamenta. L’arrivo di Chu-mun-mo fu il corollario di questa richiesta e un nuovo passo avanti verso il consolidamento della penetrazione cristiana in Asia. Proprio il successo sempre più rilevante della fede cattolica in Corea ebbe però il risultato di scatenare un’ondata di persecuzioni a partire dal 1785, sfociata quindi nel 1802 in un editto statale in cui il re chiedeva ai suoi sudditi di sterminare i cristiani. Le condizioni per i fedeli del paese si fecero sempre più difficili, anche perché i legami con il vescovo di Pechino furono praticamente interrotti e solo nel 1837 fu possibile riaprire un canale tramite l’invio di un vescovo e due sacerdoti, provenienti dalle Missioni Estere di Parigi. La risposta del governo coreano fu però implacabile e si concretizzò nell’uccisione dei religiosi. Solo nel 1882 il governo coreano decise finalmente di decretare la libertà religiosa nel Paese, consentendo così il libero sviluppo del cristianesimo all’interno dei confini statali. Nelle persecuzioni di quei decenni, avevano però trovato la morte oltre 10mila cristiani, dei quali 103 sarebbero poi stati beatificati, in due gruppi, il primo nel 1925 e il secondo nel 1968. Nel 1984 tutti costoro sarebbero poi stati canonizzati a Seul, da papa Woytila. Va specificato che tra di loro soltanto dieci sono stranieri, mentre gli altri erano tutti fedeli coreani.
All’interno di questo gruppo un posto particolare spetta ad Andrea Kim Taegon e Paolo Chong Hasang. Andrea era nato nel 1821, in una famiglia cristiana di nobili origini. Il padre aveva addirittura trasformato la sua residenza in una sorta di piccola chiesa nella quale aveva riunito tutti coloro che intendevano abbracciare la fede. All’età di quindici anni fu invitato a Macao per ricevere il sacerdozio, ritornando nel 1844 dopo essere stato ordinato diacono al fine di organizzare l’entrata in Corea del vescovo Ferréol. Proprio mentre dava luogo a una missione per conto del vescovo, fu arrestato dalle autorità, rifiutando di rinnegare la propria fede nonostante le ripetute pressioni delle autorità locali. Alla fine venne decapitato, nel settembre del 1846, a Seul, primo sacerdote martirizzato nella storia della Corea. Paolo Chong Hasang era invece nato a Mahyan, nel 1795, in una famiglia che avrebbe dato altri martiri alla causa del cristianesimo. Il padre e il fratello, Agostino e Carlo, furono infatti uccisi nel 1801, mentre l’intera famiglia veniva imprigionata e privata dei beni, tanto da essere costretta ad appoggiarsi ad un parente prima di riparare a Seul, presso la fiorente comunità cristiana che si andava formando nella città. Da quel momento iniziò a fare la spola con la Cina, facendo da tramite per l’arrivo del sacerdote Yan e dei missionari francesi inviati nel paese per permettere l’organizzazione di comunità più salde. Il vescovo Imbert lo prese sotto la sua protezione, ma ben presto anche lui cadde sotto i colpi della repressione, venendo infine giustiziato nel settembre del 1839.