Ci risiamo, dicono: un altro caso Englaro o Welby. Solo che succede nella laicissima Francia a un bambino nato dopo cinque mesi di gestazione e che, a seguito di un’emorragia al cervello, sicuramente soffrirà di un grave handicap.
No, permettetemi, no: qui il discorso sul fine vita, che poi si chiama morte procurata, suicidio assistito, eutanasia, e così via, non c’entra. Qui non ci sono persone che hanno deciso di togliere la vita a sé stesse sulla base di scelte personali di vita o di non vita. Qui c’è un bambino che aveva già il nome – Titouan – e altri uomini hanno deciso che non vale la pena che viva. Chi ha chiesto di interrompere l’assistenza sono il papà e la mamma: i medici si sono riuniti in comitato etico e hanno deliberato che verrà ucciso. Lo so, la scelta di questo verbo arriva come un pugno allo stomaco ma io non so il francese e il traduttore simultaneo di Google, stavolta, parla un italiano più chiaro dei miei pensieri.
I genitori di Titouan si son fatti una foto che gira su internet. Vogliono dire che la scelta è la loro. Nessun nome di fantasia a proteggere la privacy, la sacra privacy, nessuna foto rubata di spalle, ma loro due, mano nella mano, le dita intrecciate. Peccato che nella conta delle dita alzate per votare a dire sì, l’unico ditino che mancava era quello del bimbo. Il papà e la mamma hanno detto che una cosa così non riuscivano a gestirla. Ma, cavoli, non dovevano gestirla, una vita così: dovevano viverla. Questo è il punto, ciò che mette veramente paura è la vita: la vita con un disabile mette molta paura. Ecco perché non si dovrebbe nascere da soli, crescere da soli e vivere da soli. È per quello che un tempo, nei villaggi, si nasceva in tanti: perché si viveva in tanti. Il dolore di uno, era di tutti, era per tutti. Per questo non era pauroso. La vera paura di ogni paura è la solitudine.
Strano paese il mondo, in cui un collegio etico decide che devo morire perché sono nato troppo presto e sono malato. Strano paese il mondo, in cui se stai male chi ti ha dato la vita non te la lascia. Strano paese il mondo: io mi agito e piango e non mi accarezzano e non mi prendono in braccio. Saranno i tubi che ho nel corpo? Ma perché non viene mamma? Perché mi danno una dolce morte e non una dolce vita? Cos’è un handicap? Conosco solo la voce di mamma e i rumori che fa. Perché non mi lasciano con lei? Perché non mi lasciano solo con mamma e papà e invece a me ci pensa un comitato etico?
Devo morire di fame e di sete? Devo morire… come? Cosa dicono i protocolli? Cosa sono i protocolli? Sono un neonato prematuro? Vi sbagliate, mi chiamo Titouan. Mamma diglielo tu come mi chiamavi quando ero nella pancia.
Ok, è una cattiveria immaginarsi cosa direbbe Titouan se potesse parlare. Ok, forse, è una vigliaccata. Allora m’immagino di essere quei medici. Cosa sogna un bambino quando vuole fare il medico? Di curare le persone, di far passare le malattie. Cosa fa un medico quando fa il medico? Come ci si ritrova dentro un comitato etico a decidere se sospendere la vita ad un neonato? Sospendere la vita è lasciar morire, uccidere: lo dice il traduttore di google. Come si passa dal sogno del bambino alla realtà dell’adulto e poi all’incubo?
Lo so, è facile parlare da calmi e da sani. Ma Titouan e quelli come lui non possono parlare e allora parlano quelli con la vita facile. Parlo io. Sì, è ora di riiniziare dai fondamentali. La morte è irreversibile. Meglio pensarci bene. Soprattutto se pensiamo alla morte di qualcun altro. Sembra una battuta del teatro dell’assurdo. Ma purtroppo non lo è.