NEW YORK – La teoria dell’altro giorno è che la NFL, la lega professionistica di football americano, sia afflitta da casi di violenza domestica per colpa di tutte le botte in testa che i giocatori si beccano nel corso delle loro pesantissime (e pagatissime) carriere. Carriere a volte brevi (questi moderni gladiatori si consumano in fretta) che provocano danni cerebrali le cui conseguenze finirebbero per pagarle anche i loro familiari.
È purtroppo vero che le concussions (commozioni cerebrali) sono molto frequenti, ed i conseguenti danni neurologici dimostrati. Questa tesi potrebbe valere anche per quelli della NHL, la lega dell’hockey, perché anche li in quanto a scontri violenti non si scherza. Il fatto è che nell’elenco ormai lunghissimo di indagati se non già condannati ci sono pure giocatori di baseball e basketball. Ora, per quanto riguarda il baseball si potrebbe anche pensare che qualcuno s’è beccato pallina o mazza sulla capoccia, ma quelli che giocano a pallacanestro dovrebbero aver tutti sbattuto la testa per terra o sul “ferro” in qualche convulsa azione di gioco. Il che non è molto plausibile.
Oggi nel mirino dei media comunque c’è la National Football League. Il filmato di Ray Rice, running back dei Baltimore Ravens, che tira un cartone in faccia alla – futura – moglie mentre sono in ascensore, abbattendola di schianto, ha fatto il giro del mondo ed indignato tutti. Giustamente. Ray McDonald dei 49ers già aveva picchiato la fidanzata incinta, Greg Hardy dei Panthers minacciato di morte la sua donna, A.J. Jefferson dei Vickings tentato di strangolare la morosa. Adesso al penoso elenco si sono aggiunti Jonathan Dwyer degli Arizona Cardinals che ha preso a testate la moglie come fosse un avversario sul campo di gioco e Adrian Peterson che ha fustigato il figlioletto di 4 anni con una verga.
Non ho nessuna intenzione di scherzare sulla violenza domestica. Vedere due genitori litigare, anche solo alzando la voce, per un figlio è una sofferenza immensa. Tutti litighiamo. C’è carattere e carattere, ma litigare è inevitabile. Chi non l’ha mai fatto? Ma la violenza fisica, oltre ad essere un crimine, è soprattutto l’apice della nostra impotenza quando vorremmo e non siamo capaci. Chiaro che vederla perpetrare da superstars genera scandalo perché da costoro, essendo al centro del public eye, ci si aspetterebbe “il buon esempio”. Che poi altro non sarebbe che l’omologazione più totale ai criteri del pensiero dominante. La violenza rispetto ai propri compagni di vita, mogli, mariti o fidanzati che siano, è segno visibile del tentativo di far essere l’altro quel che vorremmo noi. Un tentativo fallimentare e disumano. E quella verso i figli? “Child abuse“.
Tutti i protagonisti di queste storie sono uomini di colore. African-American è anche quell’Adrian Peterson che ha picchiato il suo piccolo. Purtroppo sembra proprio che Peterson a questo bimbo abbia fatto davvero male. Le pochissime voci che si sono levate cercando di arginare quella valanga di sdegnosa condanna riversatasi sui violenti sono di African-Americans. Tra queste mi ha colpito quella di Charles Barkley, ex star dell’NBA ed ancora popolarissimo commentatore tv. Intervistato – da un bianco – su CBS, Sports Barkley s’è azzardato a dire che lui come tutti i bambini del profondo sud è venuto su a vergate nelle gambe. Con l’intervistatore che, superato il primo shock, gli è saltato addosso, Barkley ha provato a rispondere, come può uno che ha fatto il giocatore e non il pedagogo, che non intendeva certo giustificare la violenza verso i bambini. Voleva solo dire che bisogna stare attenti, che non si può giudicare grossolanamente come i genitori tirano su i figli.
Che c’è, potremmo dire noi, uno spazio di libertà. Libertà di educazione. Mr. Barkley, io son venuto su in riva all’Adriatico, e ne ho prese parecchie. I nostri figli sono nati lì, e poi son cresciuti in America. Anche loro le hanno prese, sia di qua che di là dell’oceano. Né io, né i nostri figli (credo!) ci considereremmo mai “abused children” per via di quelle sgridate, sculacciate e schiaffoni. Ci sono servite. Sarebbe stato bello poterne fare a meno, ma è andata cosi. I genitori hanno voluto il bene dei loro figli anche così. Oggi non si può più. Oggi se alzi la voce ti tolgono la custodia. Stiamo attenti; ha ragione Mr. Barkley. Stiamo attenti perché la più grande violenza per la quale corriamo il serio rischio di essere perseguitati è quella di comunicare ai nostri figli ciò che amiamo e ciò in cui crediamo – a meno che sia tutto perfettamente in linea con quello che “i tolleranti” vogliono costringerci a digerire.