LIPSIA – Il Katholikentag, raduno periodico dei cattolici tedeschi, dovrebbe essere un luogo privilegiato per capire che cosa significa essere cattolici oggi, in Germania. Immaginiamo, allora, che qualcuno si trovi proiettato in Germania senza conoscere per nulla questo paese e immaginiamo che voglia sapere qualcosa della Chiesa cattolica tedesca. Se quel qualcuno dovesse sapere della Chiesa cattolica solo quello che i tedeschi sanno di essa, probabilmente non riuscirebbe a considerarsi “cattolico” o a trovare delle motivazioni per esserlo.



Un filosofo ebreo francese recentemente ha detto – lo citiamo con una certa libertà – che un dibattito sulla Chiesa cattolica in Germania è a malapena possibile, dato che le fonti sono così intorbidate che il tema centrale può solo essere sfiorato. A complicare notevolmente le cose c’è la questione delle tasse ecclesiastiche. Qui, come del resto nella Svizzera tedesca e in Austria, esse sono tasse a parte, riscosse dallo Stato per conto della Chiesa, a cui il cittadino può sottrarsi dichiarando il proprio Kirchenaustritt, l’uscita dalla Chiesa. E da qualche anno sono sempre di più coloro che lo fanno. Teologicamente, dalla Chiesa non si esce, dal momento che il carattere impresso dal battesimo è indelebile, ma la confusione impera. Non sono mancati i ricorsi giuridici di cittadini che hanno dichiarato l’uscita dalla Chiesa come organizzazione, ma non come appartenenza spirituale. Tuttavia la gerarchia episcopale tedesca ha sempre rifiutato questa distinzione, non senza una certa rigidità, richiamandosi al dovere, sancito dal diritto canonico, che il fedele ha di sostenere economicamente le opere della Chiesa. Non sono pochi, e non sono certamente eterodossi, coloro che ritengono che la Chiesa cattolica tedesca debba uscire da questo equivoco, rinunciando a questa costrizione fiscale per concentrarsi sull’unica cosa necessaria, che è la presenza di Cristo, sposo e Signore della Chiesa, e ricominciare da qui.



Fintantoché tra colui che annuncia e colui che è interpellato si leva il muro delle tasse ecclesiastiche, l’evangelizzazione non è realmente possibile. Cristo non ha bisogno della nostra testimonianza quando essa è appesantita da atti che sono frutto di costrizione o da equivoci, come quello per cui per essere buoni cristiani si debbano necessariamente pagare delle tasse. A parte la minoranza dei cristiani “impegnati”, la stragrande maggioranza dei fedeli soffre per questo grave equivoco, di cui non può essere ritenuta responsabile una sola parte, quasi si trattasse di cristiani ancora così poco maturi da non sentire il dovere di mantenere finanziariamente l’istituzione di cui, pure, sono parte. 



Si appartiene a un’istituzione per quel che l’istituzione significa. Già l’allora card. Ratzinger, nella sua intervista a Peter Seewald, Il sale della terra (1996), metteva in guardia la Chiesa tedesca dal confondersi con una istituzione senz’anima, quasi che il fare potesse sostituire l’essere, e citava proprio le numerose opere cattoliche (consultori, ospedali etc.), che hanno senso solo se sono risposta a tutto il bisogno dell’uomo, e non solo ad ambiti settoriali. 

«In Germania (…) si sono tenute in piedi molte istituzioni ecclesiastiche senza garantire che vi sia in esse uno spirito ecclesiale». E ancora: «In Francia all’inizio del secolo scorso fu offerta alla Chiesa una formula per mantenere le sue proprietà (…) accettando però una certa tutela statale. Papa Pio X spiegò allora che il bene della Chiesa è più importante di tutti i suoi beni materiali. Cediamo i beni perché dobbiamo difendere il Bene». 

Crediamo che su questo punto la sintonia tra l’insegnamento di Francesco e il pensiero del suo predecessore sia totale e che qui stia il senso più autentico del richiamo alla “povertà” della Chiesa. Ovviamente non è in discussione il fatto che delle istituzioni abbiano anche bisogno di denaro per continuare a operare, ma la forma in cui questo denaro è raccolto, che non dovrebbe obnubilare la ragione per cui l’istituzione stessa esiste.

Per raggiungerci Cristo ha bisogno solo del Suo amore. «Quel che di Lui diciamo, pensiamo, speculiamo non cambia nulla di Lui; Egli è ciò che è e non è in sé toccato dalla nostra testimonianza; egli è il Figlio di Dio e il nostro Signore» (Adrienne von Speyr). Anche le nostre “speculazioni” con il denaro delle tasse ecclesiastiche non cambiano nulla di Lui: esse cambiano, però, lo sguardo delle persone con cui noi, come cristiani, vogliamo entrare in dialogo. Dobbiamo, dovremmo concentrarci sull’adempimento del “compito” e rinunciare a tutto quanto intorbida questo sguardo. Il compito è rendere testimonianza che Dio è l’amore. «Una testimonianza che non fosse servizio, ma solo parola, non sarebbe testimonianza» (ibidem).

Ecco, allora, una nostra proposta concreta: rinunciare a questo Katholikentag, alquanto autoreferenziale, per finanziare piuttosto delle attività sociali nei Laender orientali della Repubblica Federale. Ciò sarebbe ben più in linea con l’evangelizzazione così come papa Francesco la sta chiedendo.