L’ex Pm di Catanzaro Luigi de Magistris e il suo fido collaboratore Gioacchino Genchi sono stati condannati ciascuno a un anno e tre mesi di reclusione per il caso “Why Not”: non si tratta tanto di un paradosso quanto di una vera e propria nemesi. Il Tribunale di Roma ha infatti riconosciuto, almeno in primo grado, la responsabilità penale dell’ex magistrato e dell’ex esperto delle procure per abuso d’ufficio commesso in concorso tra i due attraverso l’acquisizione abusiva e contra legem di conversazioni, e-mail e tabulati telefonici di diversi parlamentari, tra cui esponenti di spicco del Governo all’epoca in carica, dall’allora presidente del Consiglio, Romano Prodi, all’allora ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ma anche di Francesco Rutelli, Antonio Gentile, Giancarlo Pittelli e di Sandro Gozi, oggi uomo forte renziano e all’epoca parlamentare europeo di area prodiano.



Il Pm Roberto Felici aveva chiesto l’assoluzione per il suo ex collega e la condanna per il solo Genchi. La motivazione della pubblica accusa era stata quella di attribuire le responsabilità al consulente, facendo invece passare per sprovveduto, ingenuo e incompetente De Magistris che, secondo l’accusa, non sarebbe stato in grado di comprendere la portata e la natura delle attività investigative condotte dal perito, nonostante queste avvenissero sotto sua diretta delega e responsabilità. Tentativo, quello della pubblica accusa, non andato evidentemente a buon fine, almeno in questo primo grado di giudizio.



L’inchiesta Why Not, condotta da De Magistris quando era sostituto procuratore a Catanzaro, disegnò scenari incredibili e controversi, ricca di donchisciotteschi mulini a vento immaginati dal magistrato; inchiesta che, da un lato, determinò la distruzione di persone e famiglie e la cancellazione di realtà lavorative indirizzate soprattutto verso i più deboli e, dall’altro, finì con il trascurare le vere ipotesi di reato eventualmente sussistenti. Ma fu anche la vicenda mediatico-giudiziaria che incise pesantemente sulla politica, prima calabrese e poi nazionale, fino ad arrivare, con il colpo di grazia finale della procura di Santa Maria Capua Vetere contro Mastella e la moglie, a provocare la caduta del Governo di centrosinistra non mancando di passare dal clamoroso conflitto tra la procura catanzarese e quella di Salerno, che si sequestrarono grottescamente gli atti a vicenda, facendo imbestialire anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.



Le fantasiose ipotesi investigative di De Magistris, anche grazie alle costose attività affidate a Genchi, portarono fino a 10 milioni di euro il costo complessivo dell’inchiesta Why Not. Dieci milioni di soldi pubblici spesi per costruire una serie di teoremi che vedevano, da un lato, l’imprenditore calabrese Antonio Saladino dominare sulla politica della Calabria e di mezza Italia, solo perché aveva dato l’occasione di poter lavorare, spesso part-time, ad alcune centinaia di giovani, dall’altro, con le teorie di Genchi, un sistema che connetteva, solo sulla base di estrazioni dai tabulati telefonici, nella maggior parte dei casi senza nemmeno ascoltare i contenuti delle telefonate, politici, imprenditori, magistrati, carabinieri e finanzieri: bastava, per Genchi, solo selezionare – più o meno arbitrariamente – i contatti telefonici, anche indiretti, per disegnare intrecci pericolosi, complotti e bande.

Il clamore dell’inchiesta Why Not, costruito anche grazie alla risonanza mediatica che gli fu data da Michele Santoro e da altri organi di informazione, oggi, dopo otto anni, si è ormai spento. Ma restano le vittime. Le vittime del “sistema” Genchi-De Magistris sono persone e aziende che, pur vedendo affermato in una sentenza quello che per anni hanno sostenuto, non potranno trovare ristoro in nessun risarcimento. È un’ulteriore conferma della necessità di prevedere nel nostro Paese una vera ed effettiva responsabilità civile dei magistrati. De Magistris, su quelle macerie e su quelle vittime da lui colpevolizzate, costruì cinicamente la sua carriera politica, prima da europarlamentare, oggi da sindaco, sempre meno amato, di Napoli.