Sta facendo discutere la dichiarazione dei Ris di Parma secondo la quale il dna trovato sugli indumenti di Yara Gambirasio, fondamento di tutto l’impianto accusatorio a danno di Massimo Bossetti, non sarebbe identificabile. Il troppo tempo trascorso, le condizioni atmosferiche e altri particolari non lo renderebbero così chiaro da poter dire a chi apparteneva e di quali sostanze fisiologiche si tratti. Tale dichiarazione era anche una parte importante dell’istanza di scarcerazione presentata dagli avvocati difensori del Bossetti, come si è venuto a sapere leggendo gli atti. “Una logica prettamente scientifica (…) non consente di diagnosticare in maniera inequivoca le tracce lasciate da ignoto 1 sui vestiti di Yara”: dunque perché tenere in carcere il presunto killer? Secondo l’avvocato Carlo Taormina intervistato da il sussidiario.net i Ris di Parma hanno invece detto una cosa differente, e cioè che non è possibile sapere se il dna sia appartenuto a sangue, a liquido seminale o altro ancora.  Per la difesa, spiega, è un errore continuare a cavalcare questa confusione e indurre a ulteriore confusione. Ecco perché.



La strategia difensiva nell’istanza di scarcerazione ha insistito soprattutto sulla dichiarazione dei Ris di Parma secondo la quale il dna trovato sul corpo di Yara Gambirasio sarebbe troppo deteriorato per essere identificabile. 

Per prima cosa non va dimenticato che lo stesso Bossetti quando gli fu contestata la presenza di residuo ha riconosciuto che poteva essere accaduto di tutto ma non come conseguenza di suoi comportamenti. Aveva ad esempio evocato la possibilità di trasferimento del suo dna da un oggetto su cui poteva essere caduto del sangue poi toccato dalla ragazzina. Dal punto di vista dell’impostazione generale è dunque un dato importante, la distinzione mi sembra comunque netta.



Ci spieghi meglio cosa intende per distinzione.

Da una parte c’è il dubbio esplicitato dai Ris di Parma secondo cui non si è certi di poter affermare che il residuo organico sia di un certo dna, ossia sia sangue, liquido seminale, saliva o quant’altro. Cosa che è essenzialmente diversa dall’identificazione del dna. Io parto dal presupposto che questa distinzione sia vera se poi c’è un dubbio sul dna il discorso ovviamente cambia, ma se così stanno le cose insistere su questa confusione e indurre alla confusione di poter cavalcare la confusione è cosa deleteria per la difesa.



Nell’istanza di scarcerazione si insiste anche sul fatto che il Bossetti è soggetto incensurato, e che tenerlo in carcere per paura di reiterazione del reato è cosa inutile e sbagliata. Che ne pensa?

E’ vero quello che dice la difesa, cioè che non c’è pericolo di reiterazione del reato, però dire questo da parte della difesa stessa significa che un reato sia stato commesso perché la reiterazione di un reato presuppone che qualcosa è stato commesso. Non vedo quale persona in Italia che di fronte a un soggetto che per tre anni e mezzo si è adoperato per nascondere ed evitare le condizioni per cui emergesse il suo coinvolgimento, sempre che si possa pensare che ha commesso quel che ha commesso se lo ha commesso, possa pensare che possa reiterare quel reato.  Ma voglio aggiungere una cosa a cui ho invitato già  i miei colleghi difensori a riflettere.

Ci dica.

Io sono certo come hanno detto gli esami specifici, che la ragazza sia morta non per le ferite riportate, ma perché abbandonata nel campo. Sono dunque certo che il Bossetti non abbia ucciso volontariamente Yara. Di fronte a questo, che non evita la responsabilità per aver abbandonato Yara e che è sicuramente un reato da punire, una cosa è essere puniti per questo un’altra per aver ucciso volontariamente perché si rifiutava di avere rapporti sessuali. Dunque far perdere questa chance al loro assistito è una cosa su cui invito i colleghi a riflettere.

 

Infine c’è il problema delle celle telefoniche, che come abbiamo visto in altri casi analoghi, non danno sempre grande affidamento. Secondo la difesa  “l’ultimo aggancio della vittima non deve intendersi quello della cellula di Mapello, bensì quello di Brembate”, dove Yara abitava. Questo cambierebbe parecchio le cose, non crede?

Il problema delle celle telefoniche è importante, si tratta di dover ispezionare bene il territorio sul quale la cellula opera. Una cosa infatti è la base dell’impianto un’altra cosa è la cellula. La base dell’impianto è a 360 gradi il quale a sua volta è diviso in tre settori ciascuno e opera per una parte del territorio. Si tratta di capire per prima cosa a quale dei tre settori si riferisce la telefonata poi di capire quale delle celle abbia davvero funzionato perché per il carico delle celle ci può essere un trasferimento da una all’altra e da una struttura basica all’altra.

Quindi?

Essendo una zona di campagna le celle hanno un raggio di azione molto rilevante, è complicato dire se ci sono errori. Su questo bisogna far approfondimento. Se si fosse a Roma  dove anche a distanza di cento metri ci può essere un salto di cella, allora non sarebbe indicativo del luogo dove si trova la persona.