La tragedia del ragazzo ucciso a Napoli non va messa in relazione con la protesta delle forze di sicurezza davanti alla scelta dei mancati aumenti salariali, con toni troppo definitivi e arroganti. Eppure, lo fanno tutti. È una terribile fatalità, che pone al centro dell’attenzione i custodi dell’ordine, e rischia di trasformarsi, ancora una volta, in un dibattito ingiusto e abusato sul loro ruolo, potere e riconoscimento pubblico, con difensori e accusatori affatto innocenti e imparziali, ma deviati nel giudizio  da opposte ideologie e interessi. Bisogna sfuggire ai luoghi comuni, di chi inveisce contro i “servi del potere”, e chi giustifica eventuali colpe bilanciandole con le difficoltà, le pressioni di un lavoro sottostimato. 



Non è doppiopesismo, è guardare realisticamente alle differenze tra i fatti. Un ragazzino saluta la madre, e si fa ancora un giro in motorino, la sera. È un quartiere disgraziato, per l’alto tasso di criminalità che lo offende, presidiato da pattuglie che fanno quel che possono, osteggiate tra l’altro da una popolazione in parte collusa o troppo spaventata per stare dalla parte giusta. Sul motorino salgono in tre, ed è evidente che non si può, non si fa, è pericoloso, e contro la legge. Ma a Napoli capita, è quasi normale. Sul motorino c’è un pregiudicato, latitante. Non è normale, salvo che a Napoli, appunto. È ovvio invece che i carabinieri in ricognizione intimino l’alt, e che partano all’inseguimento, al mancato stop dei centauri. Il mezzo perde il controllo, si rovescia, il più accorto e probabilmente l’unico che davvero doveva darsi alla fuga, scappa. Vengono bloccati gli altri due, e a quel punto si apre il giallo, che richiederà un’attenta indagine della magistratura. 



Secondo i militari, mentre si mettono in sicurezza i due ragazzi, parte accidentalmente un colpo dalla pistola d’ordinanza che colpisce al cuore Davide, diciassette anni. Un dramma tanto casuale, dicono, che i carabinieri ammanettano il giovane a terra esanime, credendolo solo stordito dalla caduta. Secondo i familiari, gli amici, e la gente del rione, si è trattato di un assassinio a freddo: un carabiniere avrebbe sparato, per uccidere, e ora si coprirebbe con false testimonianze dei colleghi. Da qui la rabbia, la protesta, le auto sfasciate. Cosa non nuova, purtroppo, anche quando vengono arrestati delinquenti affiliati alla camorra, potere neanche tanto occulto, e rispettato come solo potere. 



La storia tremenda di Davide dunque si  svolge su un terreno macchiato da sospetti e odi atavici, una zona off limit per chiunque indossi una divisa. Dove regna e dà lavoro il crimine, non c’è posto per chi lo combatte, anche se si tratta di ragazzi come i tuoi, che guadagnano poco più di 1000 euro al mese e rischiano tanto, a fronte di chi guadagna il doppio con lo spaccio, la prostituzione, le vendette armate.

C’è uno scollamento incolmabile tra lo stato, con le sue colpe, e la gente, che di colpe non ne avrà molte, all’origine, ma ne ha accumulate parecchie, con la connivenza e l’omertà.

Per questo la tragedia di Davide è delicata. Perché è improbabile che parta un colpo per sbaglio da una pistola, e che arrivi diretto al cuore. Perché non si ammanetta un ragazzino a terra, quando bastano due braccia robuste per tenerlo fermo, prima di verificare chi è e come sta, anche se non ti immagini la sua morte. E pure, è improbabile che i carabinieri abbiano voluto uccidere così, da cecchini, un adolescente con al massimo qualche amicizia sbandata. 

Bisognerà avere il coraggio di raccontare tutta la verità, dall’una e dall’altra parte; di fare giustizia, quella che possono fare gli uomini, ché la morte di un figlio non è ripagata da nessuna giustizia, e la vita distrutta di chi ha ucciso neppure. Bisogna evitare che un “errore”, magari dettato dalla paura o inesperienza, criminalizzi chi lavora indefessamente e sottopagato, sottoprotetto, per difendere qualche brandello di questo paese lacerato e allo sbando. Che se colpe ci sono, non vengano nascoste, e non ricadano per ripicca su tutte le forze dell’ordine, dimenticando le promesse di un ingaggio che premi la loro dedizione. Bisognerà lavorare molto, senza strumentalizzazioni, perché gli abitanti del quartiere Traiano siano consolati, rassicurati, che lo stato si faccia loro presente non con soliti proclami, ma con un sostegno concreto al disagio, ala disoccupazione, alla paura. O ci si sparerà per le strade ancora, sempre di più, dall’una e dall’altra parte.