Tra i santi che vengono celebrati il 7 settembre, la Chiesa cattolica ricorda anche San Giovanni da Lodi. Nato nel 1025, ebbe una ottima formazione culturale, unendo ad essa una grande serietà di carattere e la propensione al servizio verso le persone in difficoltà. La sua aderenza ai principi cristiani lo portò ben presto ad adottare una condotta di vita estremamente austera: nel 1059 entrò nel monastero di Fonte Avellana, una decisione che sarebbe stata ispirata da San Pier Damiani, celebre monaco dell’epoca e vescovo di Ostia, il quale era stato inviato in missione a Milano al fine di risolvere alcune importanti questioni. Proprio nel corso di una tappa a Lodi Vecchio infatti, egli avrebbe avuto un lungo colloquio con l’ancor giovane Giovanni, che avrebbe infine convinto il suo interlocutore a dedicarsi alla vita monastica, ove fu in seguito raggiunto dallo stesso vescovo. La sua vita da eremita si svolse all’interno di una cella posta nelle vicinanze della chiesa, tra un digiuno e l’altro e la contemplazione che era consuetudine in quella struttura religiosa. In questo periodo continuò a mettere in mostra le sue grandi capacità di pacificatore nelle piccole liti che caratterizzavano la vita all’interno di Fonte Avellana, una dote già messa peraltro in mostra in precedenza. Alle preghiere decise però di affiancare lavori manuali di ogni genere, portati avanti sempre con il massimo impegno e quello allo scrittoio, tale da trasformarlo ben presto in abile amanuense. Proprio in questa nuova veste riuscì a sfruttare al meglio gli studi che aveva compiuto anni prima, trasformandosi in abile correttore dei codici copiati dai confratelli. Una abilità ch spinse presto i vertici del monastero ad affidargli la supervisione di tutti gli scritti elaborati al suo interno. Fu lo stesso San Pier Damiani, che curava ormai da tempo l’abitudine di far rileggere i propri manoscritti a figure di fiducia, ad accorgersi della grande preparazione del giovane protetto e della sua estrema cultura. Tanto da chiedergli di occupare la funzione di suo segretario e di sovrintendere alla sua corrispondenza. Alla sua morte, proprio Giovanni da Lodi, ormai diventato suo discepolo, si dedicò alla rievocazione della sua esistenza riversandone i fatti salienti nella Vita e raccogliendone i commenti sulla Bibbia nella Collectanea. Anche all’interno del monastero, la sua posizione andò acquistando costantemente rilievo, tanto da vederlo diventare priore nel periodo tra il 1082 ed il 1084, mandato che fu poi rinnovato tra il 1100 e il 1101, proprio in concomitanza con una devastante carestia che mise in ginocchio tutto la penisola. Di fronte all’immane tragedia che si andava consumando, Giovanni decise di non tirarsi indietro dedicandosi nel modo più totale ai tanti poveri che privi di ogni forma di sostentamento arrivavano ogni giorno a Fonte Avellana.
Anche il monastero, però, ad un certo punto terminò ogni risorsa, costringendolo a scendere la penisola sino in Puglia, per trovare cereali da portare ai tanti che lo attendevano. Un cammino reso ancora più duro dall’età e dagli acciacchi di cui cominciava a soffrire, che toccò enormemente i fedeli, tanto da spingere a paragonarlo ad altre figure eroiche come i Paolino da Nola e Pietro telonario, anch’essi pronti a sacrificare ogni cosa in favore dei tanti che avevano bisogno in quel periodo così funesto. L’ultima parte della sua vita lo vide protagonista a Gubbio, ove era giunto nel 1104, ormai alla soglia degli ottant’anni, per ricoprire la funzione di vescovo. Anche in Umbria, Giovanni da Lodi ebbe occasione di mettere in evidenza la sua speciale tempra, nonostante uno stato di salute che risentiva dell’avanzare dell’età. In particolare si distinse nella difesa dei contadini poveri dai soprusi dei feudatari, guadagnandosi ancora una volta l’affetto della parte più debole della popolazione locale, come del resto aveva fatto in ogni momento della sua esistenza. Un operato che però fu possibile solo per pochi mesi, in quanto nel settembre del 1105, ormai stremato da una vita spesso durissima, Giovanni morì provocando il grande dolore di una popolazione che pur in poco tempo, aveva imparato ad amarlo profondamente. Le sue spoglie furono accolte nella cattedrale di Gubbio, ove divennero centro di un flusso costante di fedeli, che ancora oggi ne fanno oggetto di venerazione.