Non è sano che un ragazzo di diciassette anni, incensurato, possa restare morto stecchito per effetto di un colpo di pistola esploso da un carabiniere, giovane quasi quanto lui, per sbaglio o intenzionalmente lo deciderà la magistratura. E non è sano che tre ragazzi se ne vadano in giro sul motorino senza casco rifiutandosi di fermarsi all’alt intimato da una pattuglia di carabinieri convinti di aver scorto in sella un pregiudicato. La triste vicenda di Davide Bifolco, il ragazzo napoletano raggiunto da un proiettile dell’Arma nella notte di venerdì scorso mentre cercava di sfuggire a un controllo nel problematico Rione Traiano, è racchiusa nella morsa di due patologie.



Il pianto disperato della madre e quello degli amici per la vita precocemente spezzata è comprensibile. E così pure la rabbia di chi si schiera con la vittima defunta e organizza manifestazioni di solidarietà (alla famiglia) e protesta (nei confronti delle forze dell’ordine e più in generale dell’autorità costituita) magari dando sfogo ad antichi e recenti rancori. Ma si deve anche comprendere che un posto di blocco è un posto di blocco e che il gesto di un uomo in divisa va rispettato a rischio di patirne le conseguenze se si decide di farsene beffe non importa quale sia la motivazione (l’assicurazione non pagata, la paura di essere scoperti, sfida o pura voglia di trasgressione).



Si sono così imbrogliate le carte a Napoli che la reazione a un tentativo di fuga diventa notizia. E l’incendio appiccato per ritorsione all’auto dei tutori dell’ordine degrada a episodio di secondaria importanza, quasi una conseguenza naturale dell’incidente o un diritto non discutibile di chi è abituato a farsi giustizia da sé. Nel guazzabuglio di regole non rispettate si perde la vita di Davide e va in crisi quella del coetaneo che l’ha ucciso nell’illusione di stare a un gioco delle parti che sembra funzionare nei film di azione ma non nella realtà. Non, almeno, in quella incerta e indefinibile del quarantunesimo parallelo all’ombra di un Vesuvio che pure appare indeciso sul da farsi.



L’indagine della Procura, scattata prontamente, dovrà chiarire torti e ragioni legali: se è vero che i giovani sul motorino hanno ignorato l’alt dei giovani in divisa; se è vero che questi hanno inseguito gli altri nel tentativo di acciuffare un latitante e dunque compiendo il lavoro per il quale sono pagati (polemiche attuali a parte); se è vero che, bloccati due fuggitivi su tre, partiva un colpo per errore che uccideva Bifolco o se è vero che il colpo partiva per deliberata volontà. Presto conosceremo la dinamica dei fatti e tutti potremo farci un’idea più chiara dell’accaduto rinforzando le nostre convinzioni in questo ennesimo episodio della lunga e dolorosa lotta tra guardie e ladri.

Resta il fatto che nella ex capitale del Mezzogiorno che si avvia a diventare per legge città metropolitana con circa quattro milioni di abitanti su un’area così piccola da determinare la più alta densità di popolazione del Paese, sei giovani su dieci non trovano lavoro e tutti quelli che possono scappano via in cerca di un futuro che qui non potrebbero avere. In questo territorio l’economia sommersa e quella criminale − che adesso si vuole far entrare nel calcolo del Pil nelle forme del commercio di droga, della prostituzione e del contrabbando − raggiungono punte del 40 per cento rappresentando per troppe anime, volenti o nolenti, l’unica possibilità di sopravvivenza.