Sabato scorso Andrea Camilleri ha compiuto 89 anni e Raiuno gli ha dedicato una trasmissione che ha avuto grande successo: a 24 ore di distanza i social ne sono ancora pieni. Io mi sono ricordato di quando l’estate scorsa ero stato a Porto Empedocle (Agrigento), la sua città di nascita, e la gente del posto mi diceva che loro, veramente, sarebbero piuttosto la patria di un certo Pirandello. E indicavano una statua del drammaturgo così alta da obbligare al torcicollo. Era successo che, con loro disappunto, la mia attenzione fosse attratta da un uomo in bronzo – e per questo meravigliava, perché sembrava vero – che è sul marciapiede, in piedi come uno qualsiasi, e si poggia al lampione. Avevo scambiato quell’uomo per Andrea Camilleri, e invece no, era il personaggio che lo ha reso famoso, il commissario Montalbano. In versione letteraria, però: quello con la chioma folta e i baffi, non quello senza capelli e rotondetto interpretato da Luca Zingaretti.
I signori siculi a cui avevo chiesto erano, insomma, scocciati. Facevano buon viso perché Camilleri crea turismo, ma erano stufi dell’immagine che il loro concittadino trasmetteva della loro terra e della loro gente. Stanchi di come il poliziotto più famoso d’Italia vede le donne, il lavoro, il mondo. E quel siciliese poi, che nulla ha a che vedere col loro modo di parlare ma che, misteriosamente, aveva successo anche in Giappone. Mentre discorrevano, a me venivano in mente gli abitanti di Secondigliano che vedono la loro vita caricaturata in Gomorra: in quel “padrino” che saluta mettendo la mano sulla nuca in un certo modo e che però non esiste. O agli amici napoletani che devono spiegare in Europa di essere un po’ diversi dall’immagine che danno di loro i “cantanti neomelodici”.
Camilleri è bravo, ma credo sia soprattutto straordinario nell’offrire alla gente di tutto il mondo quello che la gente vuole quando si parla di sicilia e di Italia. E li capisco: un po’ tutti vogliamo sentirci dire quello che già sappiamo. Ciascuno di noi ha bisogno di conferme. È una delle principali regole degli sceneggiatori: dai al pubblico il finale che vuole, ma non come vuole lui. Dagli quello che si aspetta ma prima che si renda conto che è il suo desiderio. Quando si parla di Camilleri, si tende a dimenticare che il successo – quello di Montalbano – arriva quando ha 69 anni. E cos’ha fatto fino a quel momento? Il regista (soprattutto) in Rai, lo sceneggiatore, il teatro. È lì dove impara il grande segreto degli snodi narrativi, dei tempi, dei colpi di scena, e può mettere a frutto quella sopraffina tecnica della parola che lo aveva portato a scrivere poesie giudicate di gran qualità da Ungaretti e Quasimodo, e che gli ha permesso di mettere a punto quella neolingua che dava fastidio ai miei interlocutori.
Il successo narrativo di Camilleri è da dieci milioni di copie. Ma complessive. Quelli a cui Camilleri non piace dicono: non è che non sia vero, è che non è tutto. Io invece dico: ho rispetto e faccio tanto di cappello. Quel giochetto del dare il desiderato ma sorprendendo, rivela, per lo meno, grande abilità. Se questo significhi passare alla storia o no, non lo so. Ma non lo so per davvero. A me, a scuola, hanno fatto studiare Luigi Pirandello e non Andrea Camilleri. Ma non so se fra cento anni faranno ancora studiare Luigi Pirandello e non, invece, Andrea Camilleri.
Intanto in via Roma, a Porto Empedocle, la statua del premio Nobel è stata abbassata di almeno un paio di metri. E così, le due sculture potranno quasi guardarsi negli occhi. Anche se, devo ammettere, l’immagine di Montalbano mantiene gli occhi puntati verso la filiale della banca sul marciapiede opposto. Se non ci credete andate a vedere.