Negli ultimi mesi una serie di casi e di sentenze hanno riproposto all’opinione pubblica il tema del matrimonio e della filiazione nonché della loro configurazione giuridica. 

Al Pertini di Roma viene compiuto uno scambio di embrioni ottenuti da fecondazione omologa; il fatto ha connotati di tragicità perché solo una delle coppie riesce a portare a termine la gravidanza con l’esito, per la coppia che ha fallito, di sapere che il proprio figlio genetico è ora “figlio” di altri. Interpellato, il giudice conferma che il rapporto di filiazione si crea con la gestazione e il parto e quindi non vi è rimedio (se non di tipo risarcitorio) per l’errore. 



La massima affermata in quella sede viene in parte disattesa in un altro caso, deciso dal Tribunale di Varese. Una coppia aveva fatto ricorso alla fecondazione eterologa con maternità surrogata all’estero, essendo da noi tale pratica ancora vietata; tornati in Italia si recano all’anagrafe chiedendo l’iscrizione del figlio ma vengono scoperti; il gip non ritiene di condannarli per aver tentato di alterare, con false dichiarazioni, lo stato giuridico del figlio, sostenendo che il fatto — che costituisce reato per la legge italiana — in realtà è diventato un fatto innocuo per effetto di una sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo. Tale sentenza aveva stabilito, in un caso di eterologa/maternità surrogata prodottosi negli Stati Uniti e portato all’attenzione delle autorità francesi che avevano in un primo tempo trascritto l’atto di nascita, che la richiesta di cancellazione della trascrizione — che le autorità francesi avevano richiesto dopo aver scoperto i fatti che avevano portato alla nascita dei bambini — violava il diritto alla identità e alla privacy delle due gemelle e che quindi esse potevano e dovevano restare iscritte all’anagrafe francese. 



In entrambi i casi al centro sta il concetto di madre, se quella che ha partorito il figlio o la madre “legale”, divenuta tale a seguito di un contratto di surrogazione di maternità.

La Cassazione italiana, a sua volta, ha negato la possibilità di trascrivere un atto di nascita avvenuta in Ucraina secondo quest’ultima modalità e ha dichiarato lo stato di adottabilità del figlio portato in Italia (ma non da parte di chi aveva fatto ricorso alla maternità surrogata) tutelando così sia i principi di fondo di ordine pubblico che presiedono alla determinazione giuridica dei rapporti interfamiliari, sia la certezza del diritto. 



I casi sono davvero tanti e presentano infinite sfaccettature non solo sul piano dei fatti ma anche dal punto di vista giuridico; da ultimo, ad esempio, ancora un tribunale italiano ha imposto all’ufficiale di stato civile italiano di procedere ad una forma abnorme di trascrizione di un atto di nascita redatto in Spagna, il cui ordinamento consente che una coppia di lesbiche possa iscrivere il proprio figlio (nato per fecondazione eterologa) con la menzione delle due madri. 

Con molta probabilità, tale trascrizione, che ripete quanto scritto nell’atto di nascita spagnolo, cioè la presenza di due madri, qualora venga compiuta, sarà annullata ad opera del prefetto, viste le dichiarazioni di oggi del Governo circa la non trascrivibilità di atti di stato civile ottenuti all’esterno secondo regole non riconosciute in sede nazionale. E, tuttavia, questo giusto richiamo a rispettare il diritto nazionale non cancella la problematicità e anche la contraddittorietà delle scelte compiute dai nostri giudici, pronti a modificare tali regole in nome di fatti — quali la presenza di figli sul territorio nazionale — che in effetti chiedono di essere tenuti nel debito conto. 

Tutto questo rivela come, in una situazione di instabilità culturale e sociale, l’ordinamento viva una fase di disorientamento in cui vengono meno gli argini entro cui incanalare la varietà plurale e confusa dei fatti della vita: il vero o presunto best interest of the child pare essere la regola di fondo, salvo sacrificare ad essa i principi presenti nella legislazione nazionale a tutela dell’ordine pubblico o a tutela delle donne, cui si vuole evitare il trauma di diventare madri surrogate, pagate per produrre ad altre i figli che esse non riescono o non vogliono partorire. 

Occorre mantenere desta l’attenzione verso questo caotico stato di fatto, dunque, affinché il bene di uno non si trasformi nel male per altri: un corretto bilanciamento degli interessi è quanto dovrebbe compiere il legislatore, che sarà poi chiamato a rispondere in sede politica della ragionevolezza delle proprie scelte. E occorre anche che la legge venga rispettata, senza fughe in avanti e scelte eccessivamente creative operate dai giudici per adattare — ma solo caso per caso — le norme giuridiche ad una realtà dei fatti che va mutando e trasformandosi di giorno in giorno.  

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