Caro direttore,
le vittime sono sempre vittime. L’attacco a Charlie Hebdo è stato mostruoso. 

Ma chi si ricorda che appena un mese fa nel sud delle Filippine 11 persone sono morte e altre 21 sono rimaste ferite in seguito all’esplosione di una bomba (attribuita all’estremismo islamico) a bordo di un autobus di studenti nella città di Maramang, provincia di Mindanao? Pochi ricordano la strage di Tolosa del 19 marzo 2012, 7 vittime tra cui 3 bambini, ma nessun giornalista e nessun filmato che colpisca lo stomaco.



E chi si ricorda delle stragi in Nigeria o delle persecuzioni quotidiane in quel Medio Oriente che ha visto nascere il cristianesimo prima dell’islam? Quelle vittime (migliaia) avevano la sola colpa di non credere nello stesso Dio (senza neppure scherzarci sopra con le vignette)?

L’eco della strage dei giornalisti è (giustamente) enorme, le migliaia di morti vittime dello stesso folle odio sono degne, nella migliore delle ipotesi, di informazione secondaria. Non tutti i giornalisti (non tutti gli uomini) sono eroi: lo sono — spesso — alcuni. 



I giornalisti di Charlie scherzavano sulla religione altrui: anche la mia. E la la fede è a volte al sola cosa che uno possiede. 

I poliziotti morti sono eroi quanto o più dei vignettisti, ma i loro nomi non interessano se non per la scena cruenta che rimbalzando nei media ha fatto il gioco del terrore. Trasmessa a tutte le ore, ci abitua a scene che non sono, non dovrebbero essere, di un mondo umano.

La libertà di informazione/opinione/espressione è un tema importante, serio. Diverso. Se si tocca un giornalista occidentale, in patria, la questione assume toni diversi. Come se vi fosse una formula del dramma. Dove il dramma nasce non dal fatto in sé (strage di innocenti) ma dal fatto che riguardi un occidentale, peggio se in patria, ancora peggio se giornalista.



Le vittime sono sempre vittime, l’informazione e lo scandalo no. 

Preghiamo almeno per tutti nello stesso modo.

Gaetano Terrin (Vicenza)