Per dieci anni un progetto realizzato da cooperative sociali ha dato lavoro ai detenuti in dieci carceri italiane. Un’opportunità importante per rieducare e riscattare chi si è macchiato di crimini anche gravi, restituendo loro la dignità e la possibilità di guadagnare uno stipendio in modo onesto, spesso per la prima volta nella vita. L’affidamento del servizio è scaduto a fine 2014, e per ora il ministero della Giustizia dopo lunghi silenzi immotivati ha deciso di prorogarlo solo fino al 15 gennaio 2015, poi non si sa. Come ha scritto Luigi Ferrarella, cronista giudiziario del Corriere della Sera, dietro questa strana vicenda c’è “lo scandalo delle coop sociali di Roma fatto pagare ai detenuti che lavorano”. Ne abbiamo parlato con Margherita Coletta, vedova del brigadiere Giuseppe Coletta, ucciso nella strage di Nassiriya. La signora Coletta ha conosciuto le cooperative che danno lavoro ai carcerati attraverso le attività della sua associazione che si occupa dei bambini nel Burkina Faso.
C’è un nesso tra lo scandalo delle coop sociali di Roma e il fatto che il ministero abbia scelto di non prorogare il progetto per dare lavoro ai carcerati?
E’ sbagliato fare di tutta l’erba un fascio, penalizzando chi aiuta le persone a riacquistare dignità. Io ho avuto personalmente a che fare con la cooperativa Giotto che lavora nel carcere di Padova. Noi abbiamo un’associazione no profit e grazie all’aiuto dei carcerati e dei loro panettoni, riusciamo a mantenere i bambini in Burkina Faso. Già questo basterebbe per dire l’utilità e l’importanza delle cooperative che danno lavoro ai carcerati.
Qual è la logica dietro la decisione delle autorità di non prorogare il progetto?
Non riesco a comprendere perché si cerchi sempre di distruggere l’opera di chi sta cercando di costruire qualcosa di buono per tutti. E soprattutto non mi piace il metodo dei silenzi e delle mezze verità. Se il ministero della Giustizia ha delle riserve, lo dica chiaramente spiegando perché.
Le cooperative dovrebbero poter continuare a essere attive in carcere?
Sì. Anche un solo detenuto che lavora nel carcere grazie alle cooperative riesce a mantenere la sua famiglia. E’ quindi tutto un beneficio, non c’è nulla che va a pesare sullo Stato. Il fatto che il ministero della Giustizia si rifiuti di rinnovare l’affidamento del servizio significa che invece di edificare si vuole distruggere, rinunciando a incentivare questi ragazzi che hanno già acquistato dignità e che si sentono utili alla società. E’ proprio quest’ultimo il compito che le carceri dovrebbero svolgere. Non riesco quindi a comprendere questi tagli senza alcun senso, tanto più che in passato lo Stato non ha elargito fondi ma si è limitato ad affidare lo svolgimento di servizi. In questo modo si penalizza chi lavora rispetto agli altri che rubano.
Qual è stata la sua esperienza a contatto con queste realtà?
Ho visto dei detenuti che lavoravano al call center, nei laboratori della Roncato e nelle cucine. Vederli all’opera era una cosa splendida. Quelle mani macchiate di sangue che comunque riacquistano la dignità attraverso il lavoro è la cosa più bella che possa esistere e una vittoria anche per cercare di rimetterli sulla retta via. E soprattutto per farli sentire degni di essere persone vive. Mi sembra invece che si sia spostato il punto centrale, e che si sia pensato a tutto tranne che al bene della singola persona.
Quale dovrebbe essere la priorità?
Noi dobbiamo pensare alla dignità dell’uomo, e non a uniformare o omologare. Questo deve essere di sprone affinché in tutte le altre carceri si faccia così. Occorre un cambio di direzione rispetto alla realtà che si vive in alcune carceri. Il cambiamento “costa”, non solo dal punto di vista economico ma anche in termini di organizzazione. Diciamo sempre di investire su questo, e non capisco perché adesso si faccia dietrofront.
La stessa Unione Europea ha richiamato più volte l’Italia sulla questione carceri…
Siamo in Europa quando ci conviene, mentre bisognerebbe starci da tutti i punti di vista. Ma poi chi amministra le carceri è il primo a trarre un beneficio dal fatto che i detenuti lavorino, e quindi il ministero è il primo che dovrebbe sentirsene fiero e gratificato, invece di non dare risposte quando le cooperative chiedono di sapere quale sarà il loro futuro. Io capisco che il mondo va al contrario, ma in questo caso abbiamo proprio superato il limite.
(Pietro Vernizzi)