È sempre bello scoprire realtà e iniziative che non solo aiutano i soggetti svantaggiati, magari per una malattia, a non vivere perennemente nel disagio ma anche a tenere rapporti con la società “normale”, con il mondo circostante. È il caso, per esempio, di Radio Shock, progetto riabilitativo per pazienti psichiatrici gravi del Centro di Salute mentale di Piacenza. Mercoledì sera, guardando Le invasioni barbariche, molti italiani hanno così scoperto che da oltre dieci anni un gruppo di persone con disturbi mentali, quelli che comunemente vengono detti matti, ha uno spazio proprio in un’emittente locale (e anche sul web), nel quale rivolge domande a personaggi famosi o dà spazio anche alle interviste impossibili, come quelle ai monumenti della città emiliana.



Daria Bignardi, che è stata una delle personalità intervistate da Radio Shock, ne è rimasta colpita, tanto da decidere di dare spazio a quella strana redazione anche nella sua trasmissione. E ha raccontato che quel che più l’ha sorpresa è vedere quelle persone sorridere e interagire col mondo, cosa che purtroppo non è comune in tutti i pazienti psichiatrici. E Radio Shock ha avuto un esordio sul piccolo schermo molto importante, potendo rivolgere delle domande niente meno che al Presidente del Consiglio Matteo Renzi.



Addirittura il Premier si è trovato a dover rispondere a una domanda politicamente scomoda, come quella di dover dire se avesse o meno mai commesso un “autogol”. E Renzi, suo malgrado, ha dovuto ammettere di aver sbagliato, nella Legge di stabilità, alcune misure relative alle Partite Iva, cui ha promesso di porre al più presto rimedio. Peccato che subito dopo si sia reso protagonista, cosciente o meno, di un altro autogol.

Il Premier, stupito e anche divertito dal “siparietto” di cui è stato co-protagonista, ha infatti sottolineato: “La dedizione e la professionalità di tantissime donne e uomini che lavorano nel settore sociale è qualcosa di straordinario”. “Credo che sia bellissimo che nel pubblico, e non soltanto nel pubblico, ci sia tantissima gente che si industria per tentare di rendere migliore la vita di questi nostri concittadini e delle loro famiglie”. Già, le persone che si industriano e si impegnano ci sono, ma ci sono anche i Governi che anziché aiutarle le penalizzano non si capisce bene per quale ragione.



Da ieri, infatti, 170 detenuti che avevano un lavoro, che permetteva loro di vivere meglio, sentirsi utili, trovare magari un’occupazione fuori dal carcere finito il periodo di detenzione, mantenere la propria famiglia, non ce l’hanno più. Ironia della sorte non possono neanche dire di essere stati messi “sulla strada”. Su queste pagine è stato più volte sottolineato negli ultimi giorni: il ministero della Giustizia non ha rinnovato (se non per 15 giorni) la convenzione con dieci cooperative che gestivano il servizio mense in alcuni penitenziari italiani. Il motivo? A saperlo! Dal ministero e dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria sono arrivate finora dichiarazioni che fanno pensare che si voglia rimettere mano a tutto il sistema e all’architettura del lavoro in carcere. Ma è proprio necessario farlo a fine anno? Nel frattempo non si può continuare con il sistema vigente?

Forse, e molto più semplicemente, il problema è che queste convenzioni costano. Ma, diamine!, da un Governo che ha appena ottenuto il successo europeo di una flessibilità sui conti pubblici ci si aspetterebbe più intelligenza. Tanto più che dalla Corte europea per i diritti umani è arrivata all’Italia una “condanna” per il sovraffollamento delle prigioni e che il lavoro diminuisce il tasso di recidiva tra i carcerati.

Ci auguriamo che Renzi, distratto forse negli ultimi giorni dalla preparazione del discorso di commiato al Parlamento europeo e dalle vicende del Colle più alto di Roma, possa porre rimedio a quella che sembra una clamorosa “svista”. Che forse non è tale. Già a dicembre, infatti, le cooperative che fanno lavorare i carcerati hanno subito un taglio (naturalmente retroattivo) dei crediti di imposta previsti dalla Legge Smuraglia (la norma che dal 2000 ha incominciato a incentivare cooperative e imprese ad assumere detenuti).

Insomma, Renzi in fretta dovrebbe toglierci più di un dubbio: il sostegno ai concittadini “svantaggiati” vale solo a parole?; se così non è, c’è qualcosa che non va nei carcerati? Non si possono spendere soldi dello Stato (che pure evidentemente si spendono perché le carceri hanno dei costi) per chi nella propria vita ha sbagliato? Ma se il quotidiano (Il Corriere della Sera) della borghesia, della classe media, dell’equidistanza politica, pubblica un articolo della paladina (Milena Gabanelli) della libertà di stampa e del giornalismo di inchiesta italiano in cui si dice che le cooperative costano e fanno lavorare i peggio detenuti, allora forse il problema sta a monte di Renzi, della sua “annuncite” e della “tentazione” di usare il sociale per migliorare la propria immagine (in tv naturalmente).

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