Parliamo sempre di futuro. Di cosa potrebbe fare questo Paese per avere un futuro. Del futuro dei nostri figli. Del futuro dell’ambiente. Del futuro delle relazioni internazionali, soprattutto in questi giorni segnati, ancora una volta, da episodi di morte e violenza. Del futuro della famiglia. Del futuro del lavoro. Ci confrontiamo su mille soluzioni e su mille idee. Ma poi torniamo nella quotidianità. Fatta di tanti piccoli interessi. Di una visione del mondo, di una weltanschauung come direbbero i filosofi tedeschi, che si scontra con gli intendimenti personali, la carenza di regole chiare e giuste. Di rispetto.
Su questo tema sto leggendo il bel libro di Roberto Mordacci, docente di filosofia morale presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita e Salute San Raffaele di Milano, che si intitola, significativamente, “Rispetto”.
“Rispetto – dice Mordacci nell’introduzione – è una parola consunta, eppure potente, addirittura irrinunciabile: chi vorrebbe perdere il rispetto, anzitutto di se stesso?” E questo tema si sta riproponendo in questi giorni relativamente ad un’esperienza personale che sto vivendo, ma che coinvolge tanti altri genitori come me. Mio figlio, che frequenta la terza elementare in una scuoia pubblica, è arrivato ad avere la settima insegnante di italiano in tre anni. Uno stillicidio di cambi, sostituzioni, parentesi, speranze e delusioni che viaggia a metà strada tra il sorriso rassegnato e una incazzatura potente. La prima insegnante, di ruolo, è entrata in maternità anticipata dopo soli due mesi dall’inizio della scuola.
La supplente del primo anno, gradita ai bambini, non è stata confermata per mancanza dei requisiti e di una graduatoria adeguata. Il secondo anno si è aperto con una prima supplente che il lunedì promette ai ragazzini di restare tutto l’anno e si dice entusiasta di stare con loro e poi il mercoledì sparisce e sceglie un’altra destinazione. Finalmente, dopo qualche settimana, arriva una persona preparata e capace. Ma in attesa di un figlio. E quindi a fine anno, pur diventando di ruolo e scegliendo la nostra scuola, rimane a casa a giugno. Dimenticavo, la prima insegnante (di ruolo) non si è mai più vista ed essendo originaria di un’altra regione chiede e ottiene il trasferimento.
La terza si apre con la classe smistata, e la solita girandola fino a quando arriva quella che sembra giusta. I bambini si adattano (come sempre sanno fare), la seguono e si appassionano. Poi arrivano le vacanze di Natale. La maestra parte un giorno prima del previsto e al rientro dalla pausa non c’è. Si diffondono i primi timori. Poi la certezza. Aspetta un bimbo ed è a riposo precauzionale. Arriva la settima insegnante, la supplente della supplente, in attesa di capire cosa accadrà. Ora, fermo restando la libertà di tutti di fare le proprie scelte nella vita, incluso il diritto di avere dei figli, mi chiedo quale futuro possa avere questo Paese se, di fronte a realtà scolastiche consolidate ed eccellenti in Europa e America e ad altre emergenti o emerse in Asia e Africa, noi attribuiamo così poca importanza alla formazione dei nostri figli.
Se non riusciamo a costruire un sistema di tutela dei diritti all’istruzione che poi diano origine a persone capaci di inventare un domani migliore per sé e per gli altri. Non è una novità che la scuola in Italia abbia tanti problemi. Di infrastrutture, di palestre, di organico. Ma io credo che, prima di tutto, ci sia da un lato un problema di regole (che vanno semplificate e rese efficienti) e dall’altro di comportamenti, ovvero di rispetto. Per quanto concerne il primo punto, credo che sia evidente come non sia più possibile andare avanti con un sistema lento, farraginoso e insensato che porta a vedere e rivedere scorrimenti di graduatoria di insegnanti a settembre, ottobre e novembre quando la scuola dovrebbe già funzionare perfettamente. Aggravato da differenze abissali tra regione e regione. Tra comune e comune.
Non è pensabile che chi viene assegnato ad una cattedra possa non presentarsi mai e chiedere, ottenendolo, il trasferimento a sede più comoda. Come dicevo prima, devono essere preservati i diritti di tutti, ma credo sia evidente come ci sia una parte più debole, gli studenti, che non vengono tutelati da nessuno e che sono in balia del destino. Ma poi, emerge in tutta la sua forza il secondo punto. “Ogni uomo – dice Kant nella Metafisica dei costumi – pretende legittimamente il rispetto dai propri simili, ed è reciprocamente obbligato allo stesso rispetto verso gli altri. L’umanità stessa è una dignità, poiché infatti l’uomo non può essere usato da un altro (né da altri né da lui stesso) soltanto come mezzo, ma deve sempre essere usato al tempo stesso come scopo, e in ciò consiste appunto la sua dignità (la personalità)”. Io penso che se vogliamo un futuro diverso per noi e per i nostri figli non possiamo non affrontare il tema del rispetto. Che è un tema semantico e di significato, ma anche pratico.
Rispetto delle regole. Rispetto delle persone. Rispetto della natura. Rispetto degli animali. Ma mi viene difficile pensare che tutte queste forme di rispetto possano avere un domani, quando non ripartiamo dalle persone, in particolar modo da quelle che stiamo educando oggi per essere bravi cittadini domani. Che fiducia può coltivare mio figlio in uno Stato che, alla tenera età di otto anni, non è in grado di assicurargli neppure una formazione adeguata? Che lo illude e poi lo delude da tre anni di aver finalmente trovato la persona capace di insegnargli qualcosa. L’unico futuro certo è quello che abbiamo in casa con noi. I nostri figli. Cerchiamo di non buttare via anche questo. Sarebbe imperdonabile.