Con Fiat e Disney “è bello avere figli”, parola di Leo Burnett. Con Matteo Renzi è tutto da vedere: Leo Burnett non ha aperto becco. Leo Burnett è l’agenzia pubblicitaria che ha realizzato lo spot della promozione natalizia family-friendly delle auto di Marchionne: extra-bonus di 500 euro per figlio minore, fino a 1500 euro se i bimbi sono tre o più, più un centone da spendere a un parco Disney. Per una volta niente gay-friendly: del resto — qualche bastiancontrario potrebbe ironizzare — che c’azzecca una 500L da sette posti con una coppia omosex? Le scelte della pubblicità, salvo improbabili casi di strabismo grave, guardano ovviamente al mercato, ma resta interessante — e ad avviso di chi scrive, positivo — che una specie di mini-quoziente familiare sia entrato in una operazione commerciale e non scontatamente assistenziale.  



Comunque ora il bonus auto va in archivio e debutta il bonus bebè, previsto dalla legge di stabilità: “Al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il 1º gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 è riconosciuto un assegno di importo pari a 960 euro annui erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione”. Ne hanno diritto le famiglie con un indicatore reddituale (Isee) non superiore a 25mila euro. Per coloro che hanno un Isee non superiore a 7mila euro, l’assegno mensile sarà il doppio, 160 euro.



Non è mica da sputarci sopra. Il provvedimento ha i suoi limiti e i suoi difetti (li accenneremo alla fine di questo pezzo), ma dare qualche soldo in tasca a chi ne ha bisogno per mettere al mondo e tirar su un figlio, specie di questi tempi, è comunque un fatto positivo, vorrei vedere chi farà lo schizzinoso.

Curioso però: Renzi fa sempre il giro del mondo con 80 euro. La stessa cifra del “bonus Irpef” destinato ai lavoratori dipendenti sotto i 26mila euro lordi annui, cioè 1500 euro netti al mese. Fatto questo (prima del voto europeo), lo stesso Renzi (dopo il voto europeo), pensa alla famiglia e sfida La Palisse nella gara delle ovvietà pronunciando  questo giudizio: “Ottanta euro dati ad un single hanno un impatto diverso rispetto ad un padre di famiglia monoreddito con quattro figli. Dobbiamo porci questo problema”. Il ragionamento è simile a quello del compianto Max Catalano della banda Arbore, il quale fin dagli anni 80 sosteneva che “è meglio vivere bene con due pensioni che tirare avanti negli stenti con solo la minima”. Quindi 80 euro al lavoratore, 80 alla famiglia. Par condicio? Non proprio: i lavoratori beneficiari sono 10 milioni, le famiglie beneficiarie stimate sono 330mila (le famiglie italiane sono nel complesso 24milioni e rotti: quasi 8 milioni di single e oltre 16 di nuclei). 



In realtà, inizialmente il bonus bebè era destinato a 415mila famiglie, perché il ddl del Governo prevedeva un tetto di reddito di 90mila euro, senza legarlo all’Isee (che comunque sarebbe stato in quel caso di 36mila). Abbassando il tetto e legandosi all’Isee, la legge di stabilità ha perso per strada circa 85mila famiglie. Uno può dire: sarebbe bello aiutare tutti ma le risorse sono limitate. 

Ma non è andata così. E’ andata che tra il dire (il primo annuncio generico di Renzi nel salotto tv di Barbara D’Urso) e il fare (il sì definitivo alla legge di stabilità) c’è di mezzo il compromesso al ribasso con la sinistra Pd, che con una serie di emendamenti “anti-povertà” ha chiesto anche una ristrutturazione del bonus bebè, destinandolo solo alle famiglie più povere: la proposta di Stefano Fassina e Pippo Civati prevedeva un tetto Isee addirittura di soli 15mila euro. Sempre cedendo ai pauperismi dei sullodati è stata eliminata la norma secondo cui il limite di reddito non valeva per i figli dal quinto in poi. 

Così che ora, oltre i 25mila euro di Isee, i 960 euro all’anno non si potranno ottenere, anche se la famiglia è molto numerosa. Ciàpel. Brutta roba il pauperismo (perché questa mentalità, s’intende, viene da lontano e va ahimè ben oltre i valenti pippicivati e stefanifassina): sembra una propensione ai poveri, ma è più una pervicacia ideologica; sembra allargare l’attenzione al bisogno reale, invece riduce l’area del bisogno a quello più acuto per meglio poterlo usare politicamente e gestire assistenzialisticamente. Risulta dunque una palla al piede delle politiche di crescita e in particolare, nel caso nostro, al decollo di serie politiche familiari. 

E infatti il pur positivo provvedimento di Renzi potrà forse preludere, se vogliamo essere ottimisti, a  future politiche familiari, ma intanto non ne rappresenta un vero debutto. Eh sì perché l’Italia, che porta scritto “famiglia” a lettere cubitali nella Costituzione, è il fanalino di coda in Europa per le politiche familiari, al punto da beccarsi un rimbrottino che più esplicito non si può da papa Francesco in persona. Per le politiche familiari la Gran Bretagna spende il 2,5% del Pil, Francia e Germania il 3%, noi lo 0,9. Negli ultimi 10 anni le famiglie italiane hanno perso 6mila euro di reddito annuo, ridotto dal 20% al 9 la propensione al risparmio, a differenza degli altri paesi sopra citati. Fanalino di coda lo siamo in Europa e quasi-fanalino nel mondo per l’indice di natività: la media mondiale è 20 nati per mille abitanti (40-50 nei paesi africani); ma stando ai paesi industriali: Stati Uniti 14 per mille, Irlanda 15, Francia 11, Germania 9, Italia 8, insieme alla Spagna. In fondo alla classifica per politiche familiari, in fondo pure per natività. Le nostre mamme partoriscono in media 1,4 figli, gli altri paesi europei avanzati circa 2 (che evita il calo demografico: in Italia abbiamo 500mila nascite e 600mila morti).

L’età media del primo parto è 31 anni per le donne italiane, per le francesi e tedesche 26-27. Son tutte belle le mamme del mondo, ma le nostre sono anche le più vecchie. La Francia ha iniziato le politiche familiari organiche nel 1992. Dal 2004 dà quasi 900 euro una tantum per nascita più 170 euro al mese per 3 anni e quanto al reddito usa un “quoziente familiare” per cui ad esempio per una famiglia di 5 persone, padre, madre e tre figli, l’imponibile è dato dalla somma dei redditi (due nel nostro caso), diviso una coefficiente pari a 4. In Germania il criterio fiscale è analogo, tiene conto cioè tantissimo della famiglia. Noi ne parliamo, almeno dal 2008. Appunto: ne parliamo. L’esempio francese, più di tutti, è un pugno nello stomaco all’Italia, altro che la testata di Zidane a Materazzi. 

Vedremo nel prossimo triennio se il bonus bebè porterà a un piccolo baby boom o se viceversa sparirà senza esito apprezzabile con il solito vecchio maledetto bonus-malus, più malus che bonus perché è roba che “sbagli uno paghi tre”.